Il sistema di chiusura di una bottiglia di Wine & Spirits è il punto d’incontro tra produttore, brand e designer: è qui che si gioca l’equilibrio perfetto tra necessità funzionali e di sicurezza del prodotto, disciplinari di produzione e comunicazione. Ne abbiamo parlato con Enofox, Gruppo Saida, O,Nice! Studio, So.ve.mec e Teo Italy.
Di Roberta Ragona | Su PRINTlovers 103
Se Veuve Clicquot è così riconoscibile lo dobbiamo certo all’etichetta gialla introdotta dalla maison nel 1876, ma anche al monogramma impresso a caldo sul tappo di sughero – nato come misura di anticontraffazione – e al ritratto di Madame Barbe-Nicole Ponsardin vedova Clicquot, stampato sul cappellotto metallico che sigilla il celebre champagne. Tanta cura per il dettaglio è uno dei primissimi esempi di comunicazione del vino, che rende lampante come il sistema di chiusura sia un aspetto non trascurabile del packaging design di questo segmento.
In Italia il vino è una delle voci produttive più importanti: nel 2023 l’Osservatorio Uiv-ISMEA contava 118 vini IGT, 341 DOC, 78 DOCG, oltre 255 mila aziende produttrici per un totale di 1 miliardo di bottiglie vendute via retail e GDO e più di 400 milioni consumate tramite Horeca. Ognuna di queste bottiglie ha bisogno di una chiusura che rispetti le caratteristiche organolettiche del prodotto, ne protegga l’integrità e trasmetta in maniera immediata l’identità dell’azienda produttrice.
I tappi
Il primo step nella scelta della giusta chiusura ha a che fare con i disciplinari di produzione dei vini, per cui l’intero sistema packaging deve garantire uno standard adeguato al proprio contenuto: resistenza alla pressione nel caso dei vini mossi e frizzanti, il giusto livello di micro-ossigenazione o, viceversa, la sigillatura completa del prodotto dagli agenti esterni, sia luce che atmosfera. La maggior parte delle aziende produttrici fa riferimento anche agli standard del Cetie, un organismo volontario di certificazione per il packaging in vetro e PET, che riguardano una molteplicità di aspetti, dal disegno delle imboccature ai sistemi di chiusura.
Per i vini fermi le bottiglie più comuni sono le bordolesi, le borgognone, le renane e alsaziane, per cui viene usato in genere un tappo in sughero. Da quando sono disponibili anche tappi in bioagglomerati o estrusi in plastica, il sughero non è più un’opzione obbligata. Il sughero monopezzo diventa quindi la scelta d’elezione per i vini d’alta gamma, mentre i tappi in sughero microagglomerato sono la norma per prodotti di largo consumo. Sul lato della stampa per il sughero l’opzione più comune resta la timbratura a caldo, che dai cliché analogici si è arricchita di sistemi di timbratura a laser che, oltre all’estrema precisione, offrono la possibilità del dato variabile. Questo metodo apre interessanti occasioni di personalizzazione e anticontraffazione: numerare ogni tappo con un codice individuale aiuta a prevenire le frodi, consentendo di rintracciare la filiera della singola bottiglia. I tappi in sughero incapsulati in legno, vetro o metallo, invece, sono più usati per i vini da meditazione e i distillati, la cui bottiglia viene stappata e ritappata per servire quantità di prodotto più contenute. Nel caso dei tappi incapsulati le tecnologie di stampa si ampliano esponenzialmente: tutte le tecniche utilizzabili per la stampa in piano su legno, vetro e metallo sono disponibili anche per i tappi.
Le capsule
A protezione del tappo la scelta più diffusa è la capsula. Sul rapporto tra imboccatura delle bottiglie, tappi e capsule si concentra la ricerca di vetrerie e capsulifici per trasmettere tramite il design l’esperienza del buon bere. Gian Luca Zuccarello, Commercial Manager di Gruppo Saida, che si occupa dal 1958 della produzione, commercializzazione e distribuzione di contenitori di vetro per alimenti, ci spiega come questo dialogo tra forma e funzione sia sempre in corso: «Il design delle bottiglie deve rispondere a criteri funzionali molto stringenti, ma è fatto anche di particolari che contribuiscono a costruire l’esperienza di prodotto: basti pensare che tra due persone sedute a tavola il collo della bottiglia si troverà sempre all’altezza degli occhi, per cui una capsula tagliata con precisione, una grafica o una nobilitazione all’altezza dell’imboccatura sono sempre nell’orizzonte dello sguardo». Un esempio di questa attenzione al rapporto tra i tre elementi sono le imboccature a fascetta del modello cosiddetto “Sommelier”: un’imboccatura dal design pulito a cui la capsula aderisce completamente restando perfettamente cilindrica e la cui superficie liscia è segnata da un singolo solco sul collo che indica chiaramente dove tagliare la capsula.
I materiali più utilizzati nella produzione di capsule sono PVC, Polilaminato e PET. Il PET può essere prodotto da plastica riciclata, e per questa ragione sta crescendo in maniera importante. Il PET da plastica riciclata tende ad avere un colore meno carico rispetto al PVC ma negli ultimi anni i designer hanno iniziato a valorizzare questa qualità, lavorando per contrasto con effetti di nobilitazione con lamine oro, argento o lucide. Oltre alla disponibilità della materia prima, la scelta in fatto di chiusure si divide tra materiali che possono essere lavorati in stabilimento di stampa e quelli che devono essere lavorati direttamente in cantina. Dventa quindi un tema che riguarda i macchinari a disposizione delle cantine, e la scelta di una capsula piuttosto che un’altra dipende dagli investimenti produttivi fatti e dalla capacità di aggiornamento tecnologico. Il PVC utilizza un macchinario differente rispetto al polilaminato; mentre il PVC è termoretraibile e quindi si adatta al collo della bottiglia, il polilaminato viene “avvitato” sul collo. Il PET, invece, può essere lavorato con adattamenti minori con gli stessi macchinari che lavorano il PVC, rendendo più agile il passaggio al materiale di riciclo.
L’abbinamento tra l’etichetta e la capsula è un aspetto importante da affrontare sin dall’inizio del progetto. So.ve.mec, azienda specializzata nella stampa di etichette di alta gamma, ha internalizzato la filiera della produzione delle capsule. Ci spiega Antonella Coppola, Marketing Manager dell’azienda: «Lavorando coi clienti al design delle bottiglie ci si trovava spesso di fronte alla difficoltà di fare matching tra i colori scelti per le etichette in carta e quelli per le capsule. Gestendo internamente la produzione di entrambi i prodotti e usando come guida la gamma colori dei materiali delle capsule, è possibile lavorare sull’ottimizzazione di colori, texture e materiali della carta sino ad avere una corrispondenza perfetta. Un team di tecnici specializzati si occupa di queste ottimizzazioni, con un risultato sul design complessivo che è un valore aggiunto per i clienti, in particolare per i prodotti di alta gamma».
Nel caso di Teo Italy, invece, filiale italiana della multinazionale ucraina Technologia JSC che produce imballaggi alimentari del settore Wine & Spirits, il percorso è stato inverso: trasportare il know-how e i materiali utilizzati per capsule e capsuloni nelle etichette. Giovanni Cartasegna, General Manager, ci spiega: «Oltre alle tradizionali etichette in carta, l’offerta di etichette premium in alluminio e polilaminato metallico consente una forte coerenza estetica del prodotto sia per materiale che per le lavorazioni a rilievo e le incisioni, che raggiungono un livello di dettaglio difficilmente eguagliabile su carta. Questo nuovo materiale derivato dall’esperienza pluridecennale con la tecnologia delle capsule in polilaminato consente, inoltre, di sostituire le tradizionali etichette in peltro (una lega di stagno colata in forme incise di ferro o ottone) con l’alluminio, materiale completamente riciclabile, più economico e di facile lavorazione». Un’innovazione che dal mondo degli spumanti e vini mossi è stata trasferita anche nel mondo degli spirits, in cui il linguaggio di design è più aperto alla sperimentazione di materiali e tecniche. Per quello che riguarda le nobilitazioni, la prima scelta di produttori e designer restano le lamine, in particolare oro e argento stampati a caldo sul materiale della capsula, e il rilievo a secco.
Ma le capsule non svolgono soltanto una funzione estetica: sino a qualche anno fa sulla capsula era obbligatorio inserire il codice ICQRF (Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari, l’organismo europeo di controllo dell’agroalimentare) che serve a identificare l’azienda imbottigliatrice registrata nel SIAN, il sistema informativo unificato del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali. La stessa informazione ora può essere inserita nel retro della fascetta.Come fa notare Marco Cateni, founder di Enofox, agenzia specializzata nel settore enologico e food & beverage: «Lasciando campo libero ai designer per utilizzare l’interezza della capsula come naturale estensione del design dell’etichetta, ci si può concentrare sull'aspetto della comunicazione di packaging, con elementi dialogano tra loro. Non solo le capsule svolgono il loro scopo primario, cioè quello di garantire un ulteriore livello di protezione dalla polvere e altri agenti esterni e di garanzia da parte del produttore della qualità del prodotto, ma rafforzano anche un aspetto di comunicazione di marca, perché il vino è, dopo la cosmesi, uno dei settori che lavora di più sul packaging per l'identità di brand». Molte capsule, in particolare quelle in polilaminato, negli ultimi anni si sono dotate di linguette che facilitano l’apertura e rendono evidenti eventuali tentativi di manomissione o compromissione dell’integrità. Tuttavia il sigillo di garanzia è entrato a far parte dell’immaginario tanto che – come altri elementi di sicurezza del passato non più in uso, come le chiusure in spago e ceralacca – è stato talvolta mantenuto con funzione estetica tramite da sigilli in carte di pregio, texturate, adesive o a effetto olografico.
Le gabbiette e i cappellotti
Un altro elemento funzionale diventato terreno di gioco del design sono le gabbiette metalliche e i cappellotti per i vini spumanti, le cui chiusure devono resistere ad almeno 3 bar di pressione interna, fino a 12 bar nel picco di fermentazione. Questi elementi mostrano soluzioni sempre più estrose, dal filo colorato delle gabbiette che ha ampliato la scelta rispetto ai classici oro e argento sino ai cappellotti che si solo arricchiti di embossing, stampe a colori, stampe litografiche, vernici soft touch e a effetto cracquelé, inchiostri UV, sino dettagli di pregio come la stampa nella parte interna sia di elementi di brand che di numerazioni progressive per tracciare la filiera. Una presenza curiosa che si è fatta notare negli ultimi anni è l’arrivo del tappo a corona anche nelle bottiglie destinate ai canali di vendita. Il tappo a corona è sempre stato comunemente utilizzato per l’imbottigliamento e ha un’importanza fondamentale nella fermentazione in bottiglia, ma la sua presenza sui canali di distribuzione si lega soprattutto all’allargamento sul mercato dei cosiddetti vini naturali. Al momento non esiste una legislazione univoca in ambito UE sulla esatta definizione di “vino naturale”, ma esiste una galassia di piccoli vignaioli che producono secondo un disciplinare proprio. Forse anche per questo linguaggio vinicolo in evoluzione o per un pubblico di riferimento più di nicchia, anche dal punto di vista del design di prodotto spesso questi vini si allontanano dai codici visivi dei vini heritage e sperimentano linguaggi che attingono dall’esperienza di settori affini come quello dei birrifici artigianali e indipendenti.
Il futuro delle chiusure
Tre sono le innovazioni più promettenti: le capsule in carta, l’uso dell’alluminio e l’ampliamento delle possibilità d’uso dei tappi in vetro. In tutti e tre i casi si va verso una maggiore sostenibilità in termini di alleggerimento dei materiali e gestione del fine vita. L’ambito in cui si misura di più la sfida alle consuetudini dei consumatori è il settore dei tappi a vite. BVS e WAK sono i due standard più diffusi per i tappi a vite e sono disponibili con una varietà di guarnizioni con diversi valori OTR, ossia la misura della permeabilità dell’ossigeno del tappo, il che li rende adatti sia all’uso per vini giovani, vini classici, e persino vini frizzanti o spumanti. Realizzati in alluminio, sono facilmente riciclabili e stampabili con le più svariate tecnologie, come offset, serigrafia, stampa digitale, rilievi di testa laterali e tridimensionali, inchiostri anche glitter, lamine a caldo, metallizzazioni opache e lucide.
Stefano Torregrossa, fondatore di O,Nice! Studio, commenta: «Se nei paesi di tradizione vinicola più lontani dalle aree di produzione del sughero, come Stati Uniti, Canada, Nord Europa, Australia e Nuova Zelanda il BWS è già lo standard, nelle aree di tradizione vinicola come l’Italia e la Francia la resistenza all’uso del tappo a vite è un mix di regole stringenti e abitudini dei consumatori. Eppure a detta di alcuni esperti il confezionamento in alluminio consentirebbe un maggiore isolamento del prodotto dagli agenti esterni nei casi che lo richiedono, così che il vino arrivi sulla tavola come l’enologo l’ha concepito in cantina. In generale l’alluminio è un trend fortissimo sui mercati che non sono l’Italia, così come i formati diversi dal 75 cl. Ho seguito un progetto di design per un cliente in Germania che fa bottiglie in alluminio da 20 cl verniciata in oro col tappo a vite. Hanno dei volumi di vendita importantissimi. Potrebbe funzionare sul mercato italiano? È difficile a dirsi, ma mi viene da pensare che bisognerebbe anche smettere di presumere che i consumatori non possano abbracciare un’innovazione. Probabilmente se i brand, i comunicatori, i designer, i distributori, i produttori stessi e i relativi consorzi esplorassero queste soluzioni il mercato li seguirebbe, come si è adattato a tante innovazioni che sino a qualche anno prima sembravano inimmaginabili.
I tappi in vetro invece – conclude Torregrossa – sono già parte dell’offerta di alcune vetrerie, ma i limiti d’uso al momento riguardano la necessità di certificare e garantire l’aderenza agli standard. C’è anche un tema di costi, per cui attualmente la tappatura in vetro è appannaggio di prodotti di altissimo livello. Ma l’alto di gamma è anche il settore che si può permettere di sperimentare di più con la creatività e di aprire la strada alle innovazioni tecnologiche che poi possono venire allargate al mercato nel suo complesso».