Interviste

Una passione chiamata Donnafugata

Donnafugata

Etichette sempre in dialogo con l’arte. Vini d’eccellenza. Due milioni e quattrocentomila etichette l'anno per altrettante bottiglie. Un fatturato che supera i 18 milioni di euro. Così Donnafugata è diventata la più famosa cantina siciliana, oggi presente in oltre 60 Paesi.

Di Achille Perego | Su PRINT 72


Vini di classe vestiti con nobiltà. Perché Donnafugata, la celebre cantina siciliana co­nosciuta in tutto il mondo, non ha scritto (e continua scrivere) solo pagine di storia e di successo nel produrre vini frutto di molteplici abbinamenti tra varietà e territorio, ma anche nel saperli valorizzare con il wine design e il packaging, dalla bottiglia al tappo e soprattutto alle etichette. Che, grazie alla collabora­zione con Stefano Vitale, fortemente voluta da Gabriella Rallo, ancora oggi impegnata in azienda, che con il ma­rito Giacomo (scomparso nel 2016) ha fondato nel 1983 il brand Donnafu­gata, sono diventate vere e proprie icone artistiche. Con pezzi celebri come l'etichetta che contraddistin­gue il vino Anthìlia, stampata dalla Multicolor-Global Label Solutions (gruppo internazionale che in Italia ha sedi a Lucca, Prato e Alessandria), oppure l'ultima nata Floramun­di (stampata dalla Tonutti di Udine) per non dimenticare quella del Kabir realizzata dalla Modulgraf di Pisa.

Vent'anni di etichette artistiche, per altrettante referenze (una ventina) che nel 2018 sono state messe in mostra a Villa Necchi Campiglio, sito della Fai a Milano. Una scelta non casuale ma in sintonia con Donnafugata, che di Fai è Corporate golden donor aven­dogli donato il giardino Pantesco nell'isola di Pantelleria. Le etichette disegnate da Vita­le del resto si inseriscono, spiega Josè Rallo, quinta generazione del­la famiglia, che con Antonio guida l'azienda (lei si occupa di controllo di gestione e comunicazione, il fra­tello, agronomo e winemaker, delle strategie produttive), nello stretto rapporto che c'è sempre stato fra Donnafugata e l'arte e la letteratura. A cominciare proprio dalla scelta, nel 1983, del nome (Donnafugata, la donna in fuga) che rimanda al romanzo Il Gattopardo e si riferisce alla storia di una regina che trovò ri­fugio dove oggi si trovano i vigneti aziendali. Una vicenda, aggiunge José, che ha anche ispirato il logo aziendale. E questo legame con il territorio, la storia, la cultura dei luoghi dove si coltivano i vitigni, ha fatto da fil rouge anche nella scelta dei nomi propri dei vini: An­thìlia, Tancredi, Mille e una Notte, La Fuga, Ben Ryè, Chiarandà, Flo­ramundi, Angheri, Kabir, Sedàra... 

Per Donnafugata quanto è stata importante e quanto lo è ancora quindi la comunicazi
one dell'essenza del suo brand e dei suoi  prodotti?

Moltissimo. Oggi uniamo la modalità di comunicazione per­sonale, chiamiamola analogica, accogliendo nelle nostre cantine, per visite guidate di degustazio­ne, 10mila persone all'anno. Nello stesso tempo abbiamo approcciato le nuove modalità di comunica­zione digitale. Il web, per noi, co­stituisce un ambito di interazione e condivisione strategico. Da qui è nata la scelta di rinnovare comple­tamente il nostro sito e porre la per­sona, i suoi desideri e la sua espe­rienza al centro della navigazione. Il sito rappresenta il cuore del siste­ma di comunicazione digitale che negli ultimi anni abbiamo svilup­pato attraverso i canali Donnafu­gataWine su Facebook, Twitter, Instagram e Youtube. Canali pen­sati per utenti diversificati: Twitter riservato più ai professionisti e agli opinion maker e i trader, Instagram a un pubblico attento e sofisticato, Facebook rivolto più ai giovani che per la prima volta si avvicinano al mondo dei vini di qualità. 

All'interno di questi canali di comunicazione, quale ruolo svol­ge ancora quello analogico della stampa? 

Un ruolo che continuiamo a ritenere fondamentale. Innanzi­tutto perché le etichette delle no­stre bottiglie sono fatte di carta e, proprio insieme con le bottiglie, rappresentano il vestito che in­dossano i nostri vini. Con la carta manteniamo un legame fortissimo considerandola imbattibile e in­sostituibile. Negli ultimi anni ab­biamo imparato però a calibrarne l'utilizzo. Mi riferisco ai depliant e ai cataloghi realizzati in modo mi­rato per il pubblico (operatori del settore piuttosto che consumatori) ai quali sono rivolti. Distinguendo i prodotti in base ai contenuti, fra quelli più funzionali destinati al settore commerciale e quelli più emozionali pensati invece per il consumatore finale. Ai professio­nisti del settore, dai giornalisti ai digital influencer, invece, met­tiamo a disposizione una ampia documentazione tecnica molto articolata. Non abbiamo ancora realizzato una monografia, quella in senso classico contenuta in un cofanetto di pregio, ma ci stiamo pensando. 

In un anno quante copie di ca­taloghi realizzate?
Quelli dedicati alla forza vendita e le brochure vengono stampati in circa tremila copie da un'azienda siciliana, la Tipografia Priulla a Palermo. Non si tratta di cataloghi corposi, in quanto viene preferita l'agilità dei formati e dei materiali. E la loro sostenibilità. In più facciamo stampare qualche migliaia di cartoline di presenta­zione per le visite alle nostre canti­ne che distribuiamo negli alberghi dell'isola e pieghevoli sintetici. 

Che cosa significa oggi fare marketing del vino? 
Il mondo della produzione offre una scelta amplissima sul mercato e quindi il marketing è indispensabile per far conoscere le caratteristiche dei nostri vini, il legame con il territorio, la loro origine. Il marketing vuol dire spiegare, informare, comunicare il valore di un vitigno e di un vino — sapendo differenziare il mes­saggio rispetto al target di pub­blico al quale è rivolto — aggiun­gendo, con la comunicazione, l'aspetto emozionale che esprima i valori ai quali da sempre si ispira Donnafugata. 

Comunicare un vino significa anche "vestirlo" con un abito su misura, dalla bottiglia al tappo all'etichetta. 

La sfida per noi, in questo sen­so, è duplice e corre parallela tra il produrre un grande vino e rea­lizzare un packaging che comuni­chi all'occhio del consumatore la personalità del vino e ne racconti la sua storia. Per questo il packa­ging è fondamentale. In azienda, a cominciare da mia madre Ga­briella, abbiamo sempre creduto tantissimo nella funzione e nella forza dell'etichetta che in qualche modo rappresenta il manifesto identitario dei nostri vini. E da qui è nata la collaborazione ormai più che ventennale con Stefano Vitale. In questi anni le etichette dei nostri vini hanno sempre se­guito un percorso artistico legato a un tema coerente — la donna fantastica sempre in fuga e sem­pre diversa — che rappresenta Donnafugata.

Come realizzate le etichette? 
Oggi sono tutte autoadesive. Le illustrazioni vengono realizzate da Stefano Vitale dopo l'individuazione del nome del vino da parte nostra. Il processo creativo avviene a stretto contatto e poi siamo sempre noi a scegliere il bozzetto che riteniamo migliore e a curarne l'impaginazione grafica, per poi affidarlo agli stampa­tori con i quali collaboriamo da anni. Ogni etichetta, circa 2,4 milioni l'an­no come il numero delle bottiglie che produciamo, prevede una serie di finiture e nobilitazioni: stampe a caldo, rilievi, oro, verniciature particolari che valorizzino i colori. Ma anche trattamenti che rendano l'eti­chetta resistente all'acqua se la bot­tiglia viene messa, per esempio, nel secchiello con il ghiaccio. Comunque non tendiamo a esagerare con le fini­ture perché, di per sé, le illustrazioni sono già un arricchimento importan­te ed è necessario avere un equilibrio senza scadere nella ridondanza. 

Quanto sono importanti per il packaging le nuove tecnologie e la sostenibilità ambientale? 

Dal 2011, insieme con il DNV, uno tra i principali enti di certificazione mondiali, siamo impegnati a quan­tificare e ridurre le emissioni di CO2 lungo l’intero ciclo produttivo, dal vigneto all’imbottigliamento. Dall’e­laborazione dei dati raccolti si sono potuti adottare interventi per ridurre ulteriormente l'impatto ambientale, come per esempio l'adozione di una bottiglia più leggera, arrivando così a risparmiare sia sulle emissioni deri­vanti dalla produzione del vetro sia da quelle generate dal trasporto. O come la sostituzione dei tappi tecnici in su­ghero con tappi sintetici selezione BIO a zero emissioni e riciclabili al 100%. Dal 2014, su tutte le bottiglie dell’a­zienda è applicato un adesivo che ri­porta la certificazione relativa alla Car­bon Footprint e un Qrcode leggibile da smartphone che rimanda a una pagina del sito aziendale in cui sono riportati i principali risultati proprio del calcolo dell'impronta ecologica. 

C'è qualche etichetta che ritiene più significativa di altre? 
Le etichette coprono la gamma del­le nostre referenze, che sono una ven­tina. Quindi ne viene realizzata una per un nuovo vino anche se capita che qualche anno ci siano dei restyling di quelle precedenti. Indubbiamente la più famosa è l'etichetta della bottiglia dell'Anthìlia, quasi un logo di Donnafu­gata, con il ritratto di una donna con i capelli leggermente mossi dal vento in fuga verso nuovi traguardi. Una donna che in fondo esprime lo spirito della no­stra azienda, sempre pronta ad abbrac­ciare nuove sfide.



LA SICILIA DEL VINO INCONTRA L’ARTE
Giacomo Rallo, quarta generazione di una famiglia con oltre 160 anni di esperienza nel vino di qualità, ha fondato Donnafugata nel 1983 insieme con la moglie Gabriella. Oggi la quinta generazione – i figli José e Antonio – guida una squadra di persone (circa un centinaio) fortemente motivate a rappresentare l’eccellenza del made in Italy nel mondo e un'azienda che fattura oltre 18 milioni di euro, produce 2,4 milioni di bottiglie all'anno con una ventina di referenze ed è presente in oltre 60 Paesi al mondo a partire dai mercati di Germania, Svizzera, Usa e Giappone. Donnafugata in Sicilia conta tre sedi di produzione storiche. Le antiche cantine di famiglia a Marsala, dove hanno luogo i processi di affinamento e imbottigliamento. La cantina di Contessa Entellina, nel cuore della Sicilia occidentale, con vigneti (283 ettari) e uliveti (9 ettari). La cantina di Khamma a Pantelleria con vigneti di Zibibbo (68 ettari) coltivati ad alberello pantesco (Patrimonio dell’Unesco). I vini icona dell’azienda oggi sono il rosso Mille e una Notte ed il Ben Ryé Passito di Pantelleria DOC. Dal 2016 Donnafugata è in altri due territori di eccellenza in Sicilia: sull’Etna con 15 ettari di vigneti in produzione tra Carricante e Nerello Mascalese, e a Vittoria con 18 ettari di Frappato e Nero d’Avola.

 


Territorio, condivisione, sostenibilità: così si comunica l’eccellenza enologica. Intervista a Ferdinando Calaciura, fondatore di Gran Via, Società & Comunicazione, che cura la comunicazione di Donnafugata

Oggi più di ieri, e lo sarà ancora di più in futuro, non basta produrre vini d'eccellenza ma bisogna anche saperli comunicare e far indossare loro un abito sartoriale nel presen­tarli. Quindi hanno e avranno sem­pre più importanza il wine design e il wine marketing. Ne è convinto Ferdinando Calaciura. Palermitano, Calaciura ha fondato nel 2006 nel capoluogo siciliano Gran Via, So­cietà & comunicazione (www.gran­viasc.it) dedicata proprio al settore enologico. Una società formata da giornalisti, professionisti del setto­re e manager dei social media, che produce strategie di marketing e di comunicazione, occupandosi degli aspetti più importanti, compreso il reparto grafico e da tre anni le pro­duzioni televisive.

Quello dei vini d'eccellenza, espressione del made in Italy, spie­ga Calaciura, sta diventando sempre di più un segmento significativo per l'economia italiana e l'agroali­mentare di qualità. Un prodotto, il vino, che deve essere comunicato differenziandolo e targhettizzando­lo rispetto al consumatore finale, agli importatori, ai distributori, agli opinion maker. In questo senso sta crescendo una nuova consapevolez­za sul fatto che un bicchiere di vino debba raccontare il suo territorio, la sua storia, la sua cultura, la comuni­tà dove è nato e la sostenibilità am­bientale. Una dimensione che non è prettamente specifica al contenuto qualitativo del vino e alla sua carat­teristica connotazione produttiva ma lascia spazio a una dimensione più semplice, meno enfatica, meno autoreferenziale, per raccontarne in primo luogo l'esperienza. Oggi i grandi vini italiani, sicilia­ni, veneti, piemontesi, marchigiani, pugliesi o toscani non devono es­sere più solo comunicati ma ‘con­divisi’. Questo che cosa significa? Che ogni azione di marketing e di comunicazione – il depliant, il cata­logo, l'etichetta, la bottiglia, il canale digitale, la foto, il video – deve in qualche modo permettere a tutti di condividere l'informazione su quel prodotto e affermare, da più punti di vista, la capacità autonoma di un vino di imporsi sul mercato.

In que­sto senso Vinitaly è diventata una vetrina strategica ma resta ancora molto lavoro da fare. Il mondo an­glosassone, oggi, ricorda sempre Ca­laciura, è più capace di comunicare il vino in maniera interessante e dinamica. Con un mix di linguaggi e contenuti, studiati per i vari mezzi di comunicazione, che cominciano a essere utilizzati dalle aziende italia­ne ma ancora con una quota troppo piccola.  Quanto è importante, da questo punto di vista, il packaging del vino? Il vestito oggi, risponde Calaciura, è più curato rispetto al passato. L'I­talia, dalla bottiglia al tappo all'eti­chetta, mostra un approccio sempre più estetico che sostanziale. Soprat­tutto se paragonato ai vini france­si che, basta guardare le bottiglie esposte nei supermercati o nelle enoteche, hanno un vestito unifor­me che si limita a descrivere il viti­gno, il territorio, la produzione. Al contrario in Italia assistiamo a una maggiore vivacità e diversificazione, che però a volte sconfina un po' nel caotico e nel “troppo rumore”.

A certi livelli il wine design diventa il valore aggiunto che diventa l'identità, il se­gno grafico che contraddistingue la riconoscibilità di quel vino rispetto al consumatore. E ancora oggi vinco­no, per i vini d'eccellenza, la bottiglia di vetro e l'etichetta nobilitata che continuano a caratterizzarli rispetto a un segmento totalmente diverso rappresentato da altri contenitori come il tetrapak che comunque, al di là della veste grafica, si rivolgono a un altro mondo e a un altro stile di consumatore. Ma, conclude il fondatore di Gran Via, se gli elementi che imprezio­siscono a livello di packaging, il prodotto vino e a sottolinearne le caratteristiche, non bisogna esage­rare sapendo che oggi è vincente la sostenibilità, sia del contenuto sia del contenitore e l'informazione che viene data, a partire dall'etichetta che può diventare (si pensi all'in­serimento dei Qrcode) la porta per accedere ad altre e più ampie infor­mazioni.






 


05/04/2019


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