Cosa comprerebbero cani e gatti se potessero scegliere? Come si comunica un prodotto che non vende al “consumatore finale” ma a chi si occupa di loro? Quali sono le sfide tecniche e le tendenze di design nel pet food, e come cambia il packaging tra canali di vendita fisici e digitali? Ne abbiamo parlato con Giulia Di Bartolomeo di White Studio e Raffaele Russo di The Village, studi specializzati in brand e packaging design, e Roberta Polettini di Amusi, azienda di pet food made in Italy di nuova concezione.
Di Roberta Ragona | Su PRINTlovers 98
Dieci milioni di gatti, quasi nove milioni di cani, per non parlare di pesci, uccelli, piccoli mammiferi e rettili: gli animali che vivono insieme a noi sono quasi 65 milioni secondo l’ultimo rapporto ASSALCO (Associazione Nazionale tra le Imprese per l’Alimentazione e la Cura degli Animali da Compagnia) presentato a maggio 2023 in occasione di Zoomark, una delle più rilevanti fiere del settore. Una moltitudine di individui con necessità, preferenze, specificità e idiosincrasie per quello che riguarda il cibo. Ma a differenza di – quasi – tutti noi, non si occupano di acquistare e preparare il cibo. Nutrire tutti questi animali è un mercato in crescita costante per volumi e fatturato: quasi il +5% tra il 2019 e il 2020, e oltre il +11% tra il 2021 e il 2022.
Ma quali sono le necessità tecniche e le modalità di comunicazione di un mercato in cui chi si occupa degli acquisti non è chi consuma il prodotto? Quali sono le specifiche della conservazione del pet food e i modelli d’acquisto?
Funzionalità e sicurezza innanzitutto
La prima regola si potrebbe riassumere in: guida la funzionalità. Spiega Giulia Di Bartolomeo, fondatrice di White Studio: «Nell’ambito del pet food abbiamo quattro tipologie principali di packaging, in cui la divisione principale è tra umido e secco, con le rispettive necessità: in un caso di conservare l’umidità evitando la degradazione del prodotto, e nell’altro di tenere fuori l’umidità mantenendo inalterato il valore nutrizionale. Per l’umido si prediligono le lattine e le vaschette monodose, in alluminio stampato o con etichetta e packaging secondario in carta o cartone, a cui si sono aggiunte negli ultimi anni le bustine flessibili monodose con zip. Per il secco invece il packaging è pensato per poter stoccare in sicurezza grandi quantità di cibo, con sacchi da 5, 15 e 20 chili per cui vengono utilizzati principalmente film di materiale poliaccoppiato.
In entrambi i casi – prosegue Di Bartolomeo – a guidare sono le necessità tecniche: devono rispondere ai requisiti MOCA (Materiali e Oggetti a Contatto con gli Alimenti), c’è bisogno di una tecnologia estremamente affidabile in grado di garantire una shelf life molto lunga senza perdita di qualità del prodotto. Questo significa materiali che proteggano dai raggi UV, da cambiamenti significativi di temperatura e umidità in fase di trasporto, conservazione e vendita. Dal punto di vista delle tecnologie di stampa, invece, sono i canali di vendita a far optare per l’uso di nobilitazioni, lamine e effetti di texture. Si ragiona su come verrà percepito in mezzo ai suoi competitor.
Per un marchio il cui canale principale di contatto col consumatore è la GDO diventa necessario mettere in campo tutti gli strumenti del packaging design per fare sì che il proprio prodotto venga individuato facilmente in un settore affollato: quindi verniciature UV, contrasti lucido/mat, film oro/argento o effetti materici che mettono in conto anche la sensazioni fisiche del packaging quando il consumatore prende in mano le diverse confezioni per compararne le caratteristiche e le qualità. Per chi invece utilizza un modello di distributore diretta o tramite i canali online, il consumatore arriva al brand già armato informato e non ha bisogno di individuarlo a scaffale. Questo permette di fare scelte diverse anche optando su una maggiore ricerca grafica e di comunicazione, che sia efficace senza i costi aggiuntivi delle nobilitazioni in fase di stampa».
Un’offerta personalizzata
Osservazioni confermate dall’esperienza diretta di Roberta Polettini, brand and business manager di Amusi, start-up di pet food di nuova concezione che mette la nutrizione personalizzata e il Made in Italy al centro della propria offerta: «Noi abbiamo optato per un packaging completamente riciclabile in accoppiato carta/plastica con carta con finitura antigrasso e film plastico che fa da barriera per l’ossigeno. Ci siamo appoggiati alle ricerche sulle esperienze di player esteri che portano avanti questa scelta da tempo, e che hanno i dati a conferma dell’affidabilità del materiale per la conservazione di un prodotto con un’importante componente grassa e una shelf life che arriva sino a 18 mesi. Avendo un prodotto in abbonamento che va direttamente al consumatore abbiamo potuto lavorare diversamente, evitando il poliaccoppiato plastica/alluminio che viene smaltito in modalità diverse da comune a comune – non garantendo quindi una riciclabilità per tutti i consumatori a prescindere da dove si trovino. Parallelamente abbiamo lavorato sul packaging secondario, con box di spedizione pensate per poter resistere agli strapazzi delle spedizioni tramite corriere. Dal punto di vista visivo – prosegue Polettini – la comunicazione Amusi si stacca da un certo tipo di comunicazione pet food molto “muscolare”. Abbiamo voluto creare un senso di appartenenza a una community di persone unite da un sentire comune rispetto al rapporto coi propri animali, a partire dal lavoro di copywriting sino all’immagine coordinata, che predilige i toni caldi e gli accoppiamenti cromatici morbidi».
Trasmettere informazioni
Dal punto di vista delle informazioni al consumatore, i trend ricalcano i filoni del food, motivo per cui l’esperienza delle agenzie nel packaging del settore alimentare è una fonte di competenza e ispirazione importantissima, come conferma Raffaele Russo, co-founder di The Village: «La maggior parte dei prodotti in questo momento rientra nella definizione del fenomeno “rich in” o quello che nel settore dell’alimentazione per le persone sono gli arricchimenti coi cosiddetti “superfood”. Prodotti accomunati dalla presenza di ingredienti funzionali o arricchiti di nutrienti fondamentali, come prebiotici, vitamine, fibre o Omega 3. Allo stesso, modo, così come nell’alimentazione umana assistiamo a un allargamento dei prodotti “free from” o “zero”, altrettanto nell’alimentazione pet: dal “senza glutine”, “senza olio di palma” “senza conservanti”, sono in crescita l’offerta al consumo per chi è sensibile alle intolleranze alimentari, o con fonti proteiche monoproteina o con minore contenuto di sale. Da una parte ragioni funzionali, dall’altra un riflesso dell’attenzione alla salute del cibo che si riverbera sull’alimentazione degli animali d’affezione».
Un’opinione confermata anche dalle rilevazioni di Osservatorio Immagino, lo studio semestrale che incrocia i dati NielsenIQ su venduto nella GDO con le rilevazioni di Immagino, il servizio web di digital brand content management di GS1 Italy Servizi, che ha digitalizzato e analizzato le immagini dei prodotti e le informazioni presenti sulle etichette permettendo l’analisi aggregata di oltre 4.700 prodotti di pet food presenti nella grande distribuzione e delle informazioni in etichetta, dalle tabella nutrizionali alla descrizione passando per certificazioni, allergeni, materiali del packaging e conferimento del packaging a fine vita del prodotto.
Il passaggio di informazioni al consumatore impatta anche sul lavoro di design, come nel caso del packaging sviluppato da Giulia Di Bartolomeo per Giramico: «L’azienda mi ha contattato per sviluppare delle linee di prodotto che valorizzassero la propria esperienza in termini di ricerca e selezione di fornitori di materie prime di qualità. Ho dedicato particolare attenzione al sistema infografico per il packaging, in cui tenere assieme la chiarezza informativa in merito alle specificità delle singole linee con un sistema di icone che fosse coerente con l’immagine coordinata e avesse anche una sua piacevolezza estetica. I prodotti hanno bisogno di una forte differenziazione comunicativa, perché uno dei fattori trainanti nella vendita del pet food è la percezione del consumatore che il prodotto sia tarato specificatamente sulle necessità del proprio animale. Siamo partiti dalla linea principale, Health Program, e da lì abbiamo lavorato sul logo, l’immagine coordinata e tutte le linee specifiche. Essendo specializzata in fotografia food abbiamo lavorato per valorizzare la qualità delle materie prime con un design che avesse al centro delle foto di impatto e una grafica all’insegna della semplicità».
I nuovi influencer della qualità
A garantire al consumatore la qualità di quello che sta acquistando sono le figure degli esperti, come nel caso del lavoro di The Village sui marchi Alleva e Neobreeder: «Abbiamo avuto la possibilità di lavorare per quattro anni per Diusapet, azienda multinazionale del pet food, prima sul marchio Alleva, e poi sul progetto Neobreeder sotto la guida dell’Head of Marketing Paolo Santini.
Il packaging classico del pet food specialistico da negozio di animali è eredità di un’epoca della comunicazione in cui il pet food funzionale era quello che veniva consigliato dai veterinari, per cui anche il packaging tendeva a emulare la serietà istituzionale di un prodotto con una valenza quasi clinica. Al giorno d’oggi l’esperto di riferimento, soprattutto per i cani di razza, è l’allevatore. È lui la prima linea del processo d’acquisto, che consiglia al proprietario come alimentare in maniera bilanciata il proprio animale. Tutto il lavoro di comunicazione e di immagine coordinata fatto intorno a Neobreeder gira intorno a questo concetto: la prima linea di alimenti per cani testata e raccomandata dagli allevatori, che sono diventati anche i testimonial della campagna B2B».
Sostenibilità e fidelizzazione
Ma quali sono trend di mercato nel prossimo futuro? Come sempre, al primo posto la maggiore sostenibilità del packaging. L’approfondimento dell’Osservatorio Immagino dimostra che l’interesse nei confronti della sostenibilità è raccontato sia dal lato dell’offerta, che propone quasi 140 prodotti con packaging biodegradabile o riciclabile, sia dal lato della domanda, che si esprime con una crescita di fatturato e volumi.
Di Bartolomeo sottolinea che anche la diversificazione dei canali sarà un veicolo di cambiamento: «Un fattore cardine è il canale di distribuzione, sia dal punto di vista delle aspettative del consumatore, che dal tipo di sollecitazioni a cui è sottoposto il packaging in magazzino e a scaffale. Un consumatore più attento prediligerà una filiera più breve, permettendo di utilizzare packaging più semplici da smaltire perché il tempo di permanenza e conservazione del prodotto al suo interno è differente, mentre un utente della grande distribuzione si aspetterà di trovare una gamma di prodotti dal primo prezzo al premium, che quindi dovranno avere shelf life più lunghe, più semplici da stoccare anche per lunghi periodi e spesso in quantità superiori».
Secondo Raffaele Russo per i produttori, spesso, la discriminante è il costo: «Per il secco la ricerca si sta concentrando sul monomateriale, soprattutto lavorando sull’abbattimento dei costi di produzione. Se su carta e alluminio lo smaltimento è piuttosto lineare, la vera sfida sono i sacchi. La filiera dello smaltimento dei poliaccoppiati è molto disomogenea a seconda delle zone d’Italia. In un futuro più distante il passaggio successivo sarà sicuramente il biofilm, le plastiche da fonti vegetali e le bioplastiche; oltre che packaging pensati per l’acquisto online, il riutilizzo e il refill, anche con formule in abbonamento in cui i contenitori per lo stoccaggio di lungo periodo vengono comprati una sola volta e in seguite riforniti col prodotto spedito in un packaging di carta barrierata, che deve proteggere il prodotto per un tempo inferiore a quello della logistica a scaffale».
Un target di consumatori che nel caso di Amusi costituisce già il nucleo principale: «I nostri principali clienti sono persone tra i 35 e i 55 anni, che vivono nei centri urbani e per cui gli acquisti online sono parte del panorama di acquisto abituale. Sono informati e abituati ad acquistare anche tramite formule in abbonamento i servizi che si sposano meglio con le proprie necessità e che non sono necessariamente disponibili nei punti vendita fisici. Sono anche consumatori disposti a spendere di più se in cambio ricevono qualità e servizi. L’abbonamento è una forma di fidelizzazione che si costruisce sull’esperienza del cliente, che toglie un pensiero all’acquirente perché sa che riceverà direttamente a casa la quantità di cibo giusta per il periodo calibrata sulle necessità del proprio animale. La frontiera al momento è l’allargamento ai prodotti non food. Abbiamo notato che una volta che i consumatori sono convinti dal prodotto food sono più che disposti a estendere la stessa fiducia anche a prodotti per l’igiene e il benessere, perché si fidano del fatto che saranno realizzati con alla base gli stessi valori di fondo».