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T-shirt manifesto

Chiunque, oggi, ne ha almeno una nell’armadio. Oltre a essere un capo d’abbigliamento iconico, la t-shirt è uno strumento espressivo potente, in grado di veicolare messaggi politici, sociali, ambientalisti. Un potenziale comunicativo oggi più che mai lampante, dall’alta moda all’e-commerce, che grazie alle tecnologie digitali e a materiali innovativi è anche rispettoso dell’ambiente e delle persone. Ne abbiamo parlato con Camac Arti Grafiche, Toro & Moro, Creative Promotion e Chiaralascura.

Di Caterina Pucci | Su PRINTlovers 93 


Raccontarsi attraverso gli abiti che si indossano è un bisogno che appartiene all’umanità da sempre. La t-shirt è l’esempio più emblematico di quest’abitudine millenaria. Capi d’abbigliamento simili esistevano già in epoca rinascimentale, ma solo con l’avvento della rivoluzione industriale, le magliette cominciarono a entrare nell’uso comune. Nel 1904, la Cooper Underwear Company commercializzò la prima maglietta girocollo, progettata sulla base di alcuni esperimenti condotti per realizzare un capo che fosse pratico, elastico, traspirante, ideale per essere indossato al lavoro.

Negli anni Cinquanta, celebrità come James Dean e Marlon Brando cominciarono a indossare t-shirt contribuendo a renderle un capo iconico. A partire dagli anni Ottanta, le magliette sono diventate uno strumento per sensibilizzare su temi politici e sociali. La designer Katharine Hamnett è nota per averne sfruttato la potenza mediatica: nel 1984 incontrò Margaret Thatcher indossando una maxi t-shirt su cui era scritto, a caratteri cubitali, “58% don’t want pershing”, un gesto di protesta contro la proliferazione di missili nucleari sul suolo britannico. Negli ultimi anni abbiamo assistito a un ritorno degli slogan sulle t-shirt nelle collezioni di diversi brand, che hanno saputo coglierne il potenziale espressivo, basti pensare alla t-shirt We should all be feminist per Dior. Complice anche la progressiva affermazione degli e-commerce, in tanti oggi provano a farsi strada nel mondo dello streetwear. Come si mette su un progetto “che funziona”? Ne abbiamo parlato con diverse professionalità che hanno trasformato una buona idea in un lavoro: Gabriele Mancini, direttore di Camac Arti Grafiche, Eugenio Gastaldo, fondatore di Toro & Moro, Mario e Francesco Colonnese, fondatori di Creative Promotion e Chiara Meloni, illustratrice e attivista nota come Chiaralascura e co-fondatrice di Belle di Faccia.

Cambiano le tecnologie…
Semplici o elaborate che siano, le t-shirt fanno parte del nostro quotidiano. Ci sono aziende che hanno perfezionato la loro esperienza nel settore arrivando a sviluppare intere linee e collezioni per prestigiose case di moda nazionali e internazionali. «Negli anni Ottanta eravamo una piccola serigrafia che si occupava di decorazione su carta, PVC adesivo e altri materiali rigidi» racconta Gabriele Mancini, direttore di Camac Arti Grafiche. «Col passare del tempo ci siamo specializzati nella stampa su tessuto. Oltre a utilizzare diverse tipologie di inchiostri (lucidi, opachi, fluo, tridimensionali, rifrangenti, termosensibili) offriamo la possibilità di abbinare a ciascun prodotto elementi decorativi come lamine, borchie, strass, patch, ricami». In collaborazione con l’ufficio stilistico, Camac si occupa di tutti i passaggi della produzione, fino al confezionamento del capo finito. Dal punto di vista tecnologico, oggi esistono diverse alternative alla serigrafia tradizionale che, comunque, resta una delle tecniche di decorazione più affidabili e apprezzate, grazie alla quale è possibile realizzare effetti tattili e tridimensionali (i cosiddetti alti spessori). La stampa digitale si adatta bene alle esigenze degli onlineprinters, perché permette di realizzare piccole tirature altamente personalizzate e ottenere risultati di elevata qualità su una varietà di fibre, naturali, miste e sintetiche. La stampa sublimatica garantisce un’ottima resa cromatica, resistenza ai lavaggi, buona resa al tatto. La conditio sine qua non l’utilizzo di questa tecnologia è che il materiale su cui si stampa sia sintetico o composto da fibre miste, infatti viene utilizzata soprattutto nello sportswear, dove è richiesta risoluzione elevata ma ricambio molto veloce. «Scegliamo la tecnologia di stampa tenendo conto delle esigenze di ogni cliente. Negli ultimi anni stiamo assistendo a una progressiva affermazione delle applicazioni ricamate e dei patch termotrasferibili, adatti a customizzare velocemente piccoli lotti di produzione».


…e i modelli di business

Dopo una lunga esperienza nell’ambito della serigrafia, anche Mario e Francesco Colonnese hanno deciso di puntare sul commercio online e sulla stampa digitale. Nel 2010 danno vita all’e-commerce Creative Promotion, acquistando la loro prima stampante DtG e creando il sito personalizzati.net, dove gli utenti possono scegliere il modello e i motivi decorativi con cui personalizzare i propri capi. «Quando abbiamo cominciato, la stampa diretta su tessuto era pressoché sconosciuta. Nel mondo della stampa promozionale, che all’epoca andava a gonfie vele, si tendeva a produrre grossi quantitativi a prezzi molto competitivi, sacrificando spesso l’estetica. Ricorderete le magliette con il nome dell’azienda corredato da indirizzo, email e altre informazioni inutili. Sembravano bigliettini da visita più che magliette», raccontano i due fratelli. Oggi le aziende sono molto più attente a veicolare un’immagine accattivante di sé. Il merito è dato anche dal fatto che la cultura grafica è cresciuta moltissimo in Italia è che la stampa digitale si è evoluta raggiungendo standard molto elevati dal punto di vista della qualità e dell’affidabilità. «Chiunque abbia una buona idea, può creare potenzialmente un business vincente. Il nostro compito è aiutare designer, creativi e piccoli imprenditori a trovare il proprio posizionamento sul mercato, consigliando tecnologie, supporti, strategie più indicate per realizzare il loro progetto».

Chi sei, brand? Raccontalo al cliente

Avere un’identità riconoscibile è fondamentale per costruire una community di utenti che si rispecchia nei valori che l’azienda decide di promuovere. Ai consumatori piace ricevere informazioni sulla filiera, la selezione dei materiali, il confezionamento.
Toro&Moro è un’azienda che riesce a farlo bene. Nata nel 2016 nelle campagne del Monferrato piemontese, si propone sin da subito come elemento di rottura rispetto ai brand dello streetwear blasonati, rivendicando la qualità artigianale del proprio prodotto e offrendo un servizio di personalizzazione in store unico nel suo genere. «Abbiamo aperto l’e-commerce puntando su quattro elementi: personalizzazione, sostenibilità, qualità e unicità del prodotto» racconta Eugenio Gastaldo, founder di Toro & Moro. «Nel 2018 abbiamo lanciato il nostro primo concept store, seguito da altri punti vendita a Genova, Torino e Milano. La Toro & Moro Experience nasce per coniugare l’esperienza di acquisto virtuale e fisica».
Per rafforzare la propria presenza anche sui canali social, Toro & Moro ha collaborato con numerosi illustratori come Badi, Charlotte Le Bleu, Cecilia Battaini, oltre che con aziende con una brand identity altrettanto forte. «Recentemente abbiamo creato capsule collection per il network di lifestyle torinese Le Strade e per My Secret Case, shop online di sex toys che è anche una community impegnata a fare divulgazione sul tema del piacere femminile».

Toro & Moro realizza la maggior parte dei propri prodotti con cotone 100% biologico certificato GOTS e OCS, prediligendo processi sostenibili attraverso l’uso di inchiostri base acqua, atossici e flatati free. A riprova del desiderio di certificarsi come brand sostenibile, quest’anno, in occasione dell’Earth Day ha lanciato l’iniziativa #TreeShirt in collaborazione con Treedom, e-commerce online che consente di piantare alberi in tutto il mondo: per ogni t-shirt venduta sarà piantato un albero, andando a compensare la quantità di CO2 che è stata prodotta per realizzarla.

Attivismo e sapere condiviso

Chiara Meloni è un’illustratrice e attivista nota sul web come @chiaralascura, che per i suoi disegni si ispira alla fat liberation, al femminismo intersezionale e alla liberazione animale. «Nel 2010 mi sono ritrovata con un lavoro senza sbocchi che stava mettendo a dura prova la mia salute mentale e così ho iniziato a disegnare. E ho scoperto, quando avevo già trent’anni, che mi piaceva farlo. Ho iniziato a vendere le mie t-shirt a tema vegan su piattaforme di print-on-demand e dopo qualche mese, vedendo che c’era interesse, ho provato a farlo diventare un lavoro. Inizialmente facevo soprattutto fiere e mercatini e lo shop online aveva un peso marginale. Contemporaneamente lavoravo come grafica e video editor freelance».

Nel 2011, Meloni ha lanciato una campagna di crowdfunding su Eppela, riuscendo a farsi finanziare la prima collezione. Lo stesso anno ha cominciato a partecipare a fiere nel Regno Unito e vendere in qualche negozio. «Un paio di anni dopo ho provato ad aprire un mio personale laboratorio di serigrafia, ma questo ha coinciso con una piccola battuta d’arresto della mia creatività, perché sono rimasta schiacciata dai lavori su commissione per altri clienti e non trovavo più il tempo per curare i miei progetti e il mio catalogo». Nel 2018 decide di dedicarsi esclusivamente alle proprie illustrazioni e fonda, insieme a Mara Mibelli, il progetto Belle di Faccia, iniziando a incorporare nei propri prodotti i temi che le stanno più a cuore: il femminismo e la fat acceptance.

Sin dalle prime mini collezioni che vendeva nei mercatini, Meloni si è subito posta il problema della provenienza delle materie prime e della loro sostenibilità, selezionando tra i fornitori di t-shirt neutre quelle certificate non solo per quanto riguarda i tessuti, il loro impatto ambientale e la disponibilità delle taglie, ma soprattutto le condizioni di lavoro della manodopera. «È complicato trovare un equilibrio tra sostenibilità e inclusività: la maggior parte dei fornitori di t-shirt wholesale biologiche e fairtrade pronte per la stampa non producono taglie plus size o le fanno solo in due colori: nero e bianco. Altri producono tutte le taglie, in qualsiasi colore, ma non sono altrettanto sostenibili», aggiunge Meloni. «Quando ho iniziato non c’era tantissima consapevolezza da parte dei clienti e dovevo spesso giustificare il costo più alto spiegandone le motivazioni. Adesso, fortunatamente, c’è molta attenzione e le persone apprezzano che un piccolo brand cerchi di ridurre il proprio impatto facendo scelte sostenibili sul fronte dei materiali e del packaging».
Esistono in questo momento storico diversi strumenti che rendono più accessibile a chiunque il lancio di un piccolo business, che normalmente sarebbe un privilegio, come il dropshipping che permette di lanciare un proprio shop senza dover prevedere un investimento di partenza troppo alto e delegando le operazioni di logistica, magazzino e spedizione. «Un consiglio che mi sento di dare è quello di non farsi intimidire da ciò che vediamo sui social: su Instagram in particolare è facile che chi seguiamo ci stia facendo vedere solo gli aspetti positivi del suo lavoro e stia nascondendo i fallimenti e le fragilità: andiamo avanti per la nostra strada senza l'ossessione di like, follower e numeri perché ogni creativə ha una sua voce e un suo modo di rappresentare la realtà e quindi c'è spazio per tuttə. E ovviamente, se chi ci sta leggendo avesse bisogno di qualunque dritta, per quanto io non mi ritenga un'esperta e possa vantare più che altro l'esperienza sul campo, non esiti a contattarmi: credo nei saperi condivisi e non nel gatekeeping e sono sempre pronta a spiegare come si fa qualcosa, se ne sono in grado».



 


23/09/2022


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