Già da tempo il tessuto stampato è diventato protagonista indiscusso della comunicazione visiva, utilizzato per l’allestimento di padiglioni fieristici, esposizioni museali, eventi sportivi, centri commerciali e showroom. Abbiamo chiesto a importanti aziende del settore di raccontarci come il soft signage abbia aperto la strada a nuove opportunità di business.
Di Caterina Pucci | Su PRINTlovers 89
Se fino a pochi anni fa era considerato di nicchia, oggi l’uso del soft signage, cioè del tessuto stampato nella comunicazione visiva e promozionale, è diventato un trend a tutti gli effetti. Valicando i confini del Belgio e dell’Olanda (primi in Europa a coglierne il potenziale) ha conquistato poco a poco anche l’Italia. Brand e designer, stampatori e converter, retailer e allestitori: molti sembrano averne compreso i vantaggi e provano a superarne i limiti, mettendo a punto processi efficaci e remunerativi per trasformare un materiale, all’apparenza delicato, in uno strumento di marketing e comunicazione potentissimo. Abbiamo lasciato che a raccontare questo trend fossero alcuni professionisti del settore della visual communication: Livio Cismondi di Peraria, Luca Concoreggi di Convertende, Luigi Carrai di Kimiprint, Giorgio Grando di ABS Group, Michele Lovallo di Immagine Grafica, Giulia Rossi di Nazena e Arsenio Malossi di Maja Digital Printing.
C’è chi diversifica...
Il tessuto ha acquisito una tale importanza nel mondo dell’advertising da essere utilizzato per allestire ogni genere di spazio: padiglioni fieristici, allestimenti per punti vendita e POP up store, showroom, centri commerciali, ma anche eventi sportivi, museali, musicali e via dicendo. All’interno della macro categoria del soft signage possiamo distinguere una vasta gamma di applicazioni, di diverse forme e misure, sia per indoor che outdoor. Dalle più tradizionali (come banner, bandiere, pannelli e display) a quelle più complesse come appendimenti a soffitto (anche noti come hanging sign), rivestimenti per edifici, tende e gonfiabili. In funzione dell’uso finale, ciascun prodotto deve essere trattato per assicurare una serie di caratteristiche estetiche e tecniche. Nel caso delle bandiere è importante garantire che il disegno sia visibile da entrambi i lati. Per i rivestimenti da parete serve ottenere una buona copertura per evitare trasparenze che facciano intravedere le strutture di sostegno. Nel caso dei retroilluminati, infine, si tende a preferire tessuti in grado di garantire un’efficace diffusione della luce.
Secondo Luigi Carrai, General Manager di Kimiprint «Diversificare l’offerta è l’unica strategia possibile per sopravvivere in un presente dai confini incerti come quello attuale. Creare un portfolio di prodotti variegato, dalle tende ai pannelli retroilluminati, fino ai wallcovering permette di intercettare un’utenza variegata, proveniente tanto dal mondo dell’arredamento e della decorazione d’interni, quanto degli allestimenti per showroom, punti vendita ed eventi fieristici».
«Nel nostro caso la stampa su tessuto viene utilizzata maggiormente per applicazioni destinate agli interni, perché nella comunicazione outdoor i clienti continuano a preferire materiali più classici, durevoli ed economici, in grado di resistere agli agenti esterni» sostiene Arsenio Malossi, titolare di Maja Digital Printing. «Una tendenza che vediamo affermarsi è l’ibridazione tra fisico e digitale (il cosiddetto digital signage), che sono certo troverà sempre nuove forme d’espressione in futuro, anche nell’ambito del tessuto».
...e chi punta tutto su un unico prodotto
Ma c’è anche chi preferisce focalizzarsi su un monoprodotto. Un ottimo esempio è quello di Peraria: nata come produttrice di palloni aerostatici, negli ultimi quindici anni l’azienda cuneese si è specializzata nella fabbricazione e installazione di gonfiabili in poliestere per la comunicazione pubblicitaria. Si tratta di applicazioni dal forte impatto scenografico, oltre che di rapida installazione e facile gestione. «Dalla Pro Loco comunale alla grande multinazionale, chiunque ha ordinato un gonfiabile almeno una volta nella vita» racconta Livio Cismondi, titolare di Peraria. «Per certi versi, il gonfiabile pubblicitario assomiglia alle giacche a vento: è molto resistente alle intemperie, ma se conservato in condizioni non ottimali rischia di rovinarsi velocemente. Per garantire ai clienti un prodotto durevole ma di ottima fattura – prosegue Cismondi – abbiamo messo a punto una formula in cui dalla selezione del materiale (un tessuto 100% poliestere riciclabile) ai procedimenti di stampa e finishing, nessun dettaglio è lasciato al caso. Questo ci ha consentito di ottenere estrema qualità e brillantezza dei colori, senza rinunciare alle funzionalità tecniche». Peraria ha scelto di gestire internamente tutte le lavorazioni: progettazione, stampa, sartoria, carpenteria metallica e falegnameria. «Laddove sia previsto il passaggio di un gran numero di persone, i gonfiabili, e in particolar modo le cupole, devono essere certificate per garantire una serie di requisiti, tra cui traspirabilità, impermeabilità all’acqua, portata dell’aria (cioè volume di aria che riesce a contenere, ndr.), resistenza al fuoco» prosegue Cismondi. «Grazie alla stampa transfer riusciamo a essere poliedrici, garantendo il rispetto di rigidi parametri di certificazione ambientale e, al contempo, la massima personalizzazione possibile». Dello stesso avviso è Luca Concoreggi, titolare di Convertende, azienda con sede a Codogno. «Grazie alla versatilità della stampa tessile digitale siamo stati in grado di cogliere nuove opportunità nell’ambito della comunicazione visiva. Storicamente produciamo gazebo e tende da campeggio, ma ci siamo via via aperti al settore della pubblicità. La prima commessa importante ci è arrivata da un’azienda che doveva partecipare a una nota fiera dello streetfood europeo e non voleva passare inosservata. Da allora annoveriamo moltissimi brand, attivi nell’ambito del food&beverage, ma anche tantissimi team sportivi».
Questioni di “struttura”
Oltre a un impatto visivo e tattile ineguagliabile, il tessuto garantisce indiscutibili vantaggi: capacità di ricoprire metrature elevate, peso e ingombro ridotti, facilità di trasporto, possibilità di essere riutilizzato. Inoltre si presta bene a soddisfare richieste specifiche come quella di illuminare frontalmente o retroilluminare un pannello o creare effetti particolari come, ad esempio, il drappeggio. Occorre ricordare che quasi tutti gli allestimenti realizzati in tessuto prevedono la presenza di strutture autoportanti in alluminio, dette anche profili che, a seconda della destinazione d’uso, possono essere integrati con impianti audio, pannelli fonoassorbenti e lightbox dinamici. Questi ultimi sono dotati di sensori in grado di rilevare i movimenti circostanti e attivarsi all’occorrenza.
Tra le aziende che hanno trovato nella combinazione tra tessuti, profili in alluminio e retroilluminazione dinamica la formula per il successo c’è la veneta ABS Group, che cerca di aggiungere valore esperienziale ai progetti allestitivi. «La flessibilità del tessuto consente di giocare con le strutture, andando a creare forme articolate, per esempio ellittiche o curve, che possono essere utilizzate per personalizzare pareti, ma anche soffitti. Utilizzando tecnologie di grande formato, fino a 5 m di larghezza, possiamo realizzare intere pareti senza il bisogno di affiancare pannelli diversi» spiega Giorgio Grando, R&D Manager. «In questo modo possiamo garantire continuità alle grafiche che, soprattutto per i grandi brand, non è un fattore da sottovalutare». Tra le novità che hanno riscontrato interesse nell’ultimo periodo ci sono i tessuti tesati a parete. «Si tratta di una valida alternativa alle carte da parati – aggiunge Grando – poiché il tessuto è in grado di coprire metrature considerevoli, senza l’ausilio di giunture. Inoltre, implementando alcune funzionalità come la fonoassorbenza, siamo in grado di realizzare spazi più abitabili, conformi alle più recenti normative in materia di inquinamento acustico». Sempre per rendere più vivibili e sicuri gli spazi, nell’ultimo anno, l’azienda ha investito nell’introduzione di tessuti sanificabili. Come Viroblock, un trattamento ai sali d’argento che consente di abbattere la carica batterica presente sulle superfici: una caratteristica che, a seguito dell’emergenza sanitaria, chi progetta un allestimento non può più permettersi di trascurare. L’industria tessile può considerarsi a un livello molto avanzato in termini di ricerca e sviluppo, tanto che sempre più aziende scelgono soluzioni in tessuto anche per allestire spazi di lavoro e coworking, con soluzioni leggere, sicure e di forte impatto.
La personalizzazione resta la parola d’ordine per conquistare l’interesse di una clientela esigente. «Ormai brand owner e creativi hanno colto le potenzialità offerte dal tessuto» commenta Michele Lovallo, titolare di Immagine Grafica. «Certo qualcuno è ancora restio, ma tendenzialmente ci troviamo a lavorare con un’utenza abituata a gestire un certo tipo di materiali e progetti complessi. Per quanto riguarda l’allestimento delle vetrine, la grafica stampata in tessuto è un complemento al resto dei materiali che vengono posizionati in vetrina. Sta alla bravura del designer conciliare il tessuto stampato con il resto dell’esposizione».
Via libera al riuso creativo
Come per la moda anche per gli allestimenti la questione della sostenibilità resta cruciale. Per ridurre l’impatto dell’industria tessile sull’ambiente è necessario cominciare a ragionare sulla valutazione del ciclo di vita (in inglese LCA, Life Cycle Assessment) di un prodotto in tutte le sue fasi, dalla produzione allo smaltimento. Al contempo, occorre investire in strumenti e iniziative che promuovano la cultura del riciclo e del riuso, anche nel mondo del retail e degli allestimenti.
In Italia, negli ultimi anni, la cultura dell’upcycling (anche noto come riciclo creativo) comincia a farsi strada, anche grazie a giovani aziende innovative. Come la start up vicentina Nazena, che si è posta come obiettivo il recupero di fibre tessili naturali (cotone, lana, viscosa, seta) e sintetiche (poliestere, nylon) con le quali realizza arredi per imballaggi, negozi, articoli di design, pannelli acustici.
Ci sono materiali che si prestano naturalmente a essere riutilizzati e indirizzati verso una nuova funzione; altri devono essere sottoposti a un procedimento di take-back, cioè di trasformazione alla fine del loro ciclo di vita.
L’obiettivo è quello di raccogliere 250 tonnellate di rifiuti tessili entro il 2025, che equivalgono a risparmiare l’energia consumata da un’abitazione media per 74 anni. «In questo modo riusciamo ad allungare la vita di beni destinati a un utilizzo molto breve» spiega Giulia De Rossi, fondatrice di Nazena. «Al momento gli scarti raccolti provengono da aziende e cooperative, ma l’obiettivo a tendere è coinvolgere sempre più i retailer e consumatori finali».