Interviste

Ruben Malayan, la parola scritta è libertà

Art director, artista visivo, calligrafo, docente universitario, poliglotta, cosmopolita, Ruben Malayan ha fatto della sua lingua madre – l’armeno – un linguaggio visivo di immensa potenza espressiva. Lontano, però, da una funzione meramente estetizzante: il design, infatti, ha un ruolo sociale importantissimo, quello di raccontare la verità. In questa intervista ci immergiamo nella storia stessa della parola scritta e del ruolo fondamentale che ancora oggi ricopre per tutta l’umanità: ponte tra culture diverse e veicolo di libertà.

Di Stefano Torregrossa | Su PRINTlovers 99

Chi si occupa di calligrafia come te, ha a che fare con la scrittura, probabilmente l’invenzione più influente nella storia dell’umanità. Inoltre, sei di nazionalità armena: e l’Armenia è coinvolta da vicino con la nascita della scrittura. Ci puoi raccontare di più?
Gli ultimi scavi archeologici sull’altopiano armeno hanno scoperto una civiltà avanzata risalente a circa 10 milioni di anni fa, ma già in grado di costruire templi e coltivare i campi: è una delle civiltà più antiche del mondo. La storia, tuttavia, collega tradizionalmente la scrittura alla civiltà sumera e alle sue tavolette di argilla, identificandone l’inventore nel saggio Enmerkar. Il più antico esempio di scrittura sumera è uno scambio di messaggi tra il re di Ur e il re di Aratta. In numerosi poemi dell’epoca, il regno di Aratta è descritto come un territorio montuoso verso nord, attraversato dal fiume Uruki che collegava i due regni e con il prezioso bacino lacustre del lago Zamua. Il fiume Uruki altro non è che il fiume Eufrate; il lago Zamua è l’attuale lago Urmia, in Iran; e in definitiva, il regno montuoso di Aratta altro non è che Ararat, l’antica Armenia. L’antico popolo armeno, infatti, aveva stabilito il regno di Ararat in quei luoghi e Van come capitale, commerciando e comunicando, anche per iscritto, con il regno dei Sumeri più a sud.

Quindi la scrittura e il linguaggio armeno sono davvero antichi?
Con ogni probabilità, sono antichi come l’origine delle prime lingue indoeuropee. È impossibile non stupirsi di fronte alla qualità del linguaggio armeno, alla ricchezza, la purezza, la poesia, il gusto e la filosofia che si trova nelle antiche reliquie scritte della mia terra. Tutto indica un popolo con un altissimo grado di cultura. Le più recenti indagini linguistiche confermano che il Grabar (l’antico armeno: Գրաբար) è il più probabile candidato a lingua proto–indoeuropea, insieme a due varianti del greco antico: l’altopiano armeno, quindi, è uno dei luoghi geografici dove si sono formate le lingue indoeuropee.
Una volta hai detto: il messaggio deve sempre precedere la scrittura. La parola scritta comunica sempre un messaggio: credi che un calligrafo (ma vale anche per designer e artisti) abbia un ruolo sociale nei confronti dell’umanità?
Il design ha sempre una funzione sociale. Non voglio credere che il design serva solo a vendere oggetti! Il mondo sta andando a fuoco tra guerre, crisi ambientali e ingiustizie sociali: i designer hanno l’obbligo morale di raccontare un messaggio, il messaggio in cui credono. Dobbiamo raccontare la verità e possiamo farlo attraverso le arti visive e il visual design. Io lo faccio con la scrittura manuale e la calligrafia, ma hanno lo stesso scopo: raccontare la verità.

Hai vissuto e lavorato in tutto il mondo: in che modo le tue origini e il tuo linguaggio hanno condizionato il tuo modo di lavorare con le altre scritture e linguaggi del mondo?
Credo da sempre che un’esperienza culturalmente diversificata aiuti a creare opere più ricche e complete. Ogni linguaggio è un universo di idee, che riflettono la geografia e la struttura sociale di appartenenza. Io parlo quattro lingue e ho vissuto in altrettante culture. Anche quando scrivo nella mia lingua, queste esperienze influenzano costantemente il mio lavoro. Imparo dagli altri e cerco sempre di arricchire la mia cultura incorporando quella altrui nella mia pratica quotidiana.

Dove trovi ispirazione per i tuoi lavori?
Abbiamo secoli e millenni di tradizione scritta, dalle epigrafi all’arte editoriale. L’ispirazione è costante e continua nel mio modo di lavorare.

Quanto è importante la perfezione nel tuo lavoro?
Credo che una lettera scritta sia più di un semplice veicolo di comunicazione. Il digitale ha sostituito l’analogico, ed è senz’altro un progresso tecnologico: ma il digitale non è suscettibile al tocco, non ha un odore. Io amo la materia, e amo dover combattere con essa, a volte. Puntare alla perfezione della forma e dell’espressività nella parola scritta è il mio faro quotidiano. Voglio controbilanciare questa corsa al digitale, mantenendo salda la tradizione di lavorare con materiali difficili e che, potenzialmente, possano deperire o rovinarsi.

Come coniughi, quindi, il design digitale con la calligrafia manuale?
Paradossalmente, quasi tutto ciò che scrivo su carta finisce su un monitor o un computer: è una sorta di reincarnazione digitale che, in un certo senso, svaluta l’opera originale. Una copia non potrà mai essere come l’originale, così come la foto di un quadro di Rembrandt non è il quadro vero. Ma è questa la realtà nella quale viviamo: l’unico modo di mantenere questi due mondi in equilibrio è cercare di mantenere lo stesso livello di qualità nei risultati, sia su carta che in digitale.

Credi quindi che il digitale stia uccidendo l’arte tradizionale della scrittura?
No, non credo che la tradizione manuale della scrittura stia perdendo terreno. Anzi, credo il contrario: e gli sforzi dei calligrafi in tutto il mondo lo dimostrano. Prendete il vostro Luca Barcellona, ad esempio, e il suo eccellente lavoro in grado di coniugare entrambi i mondi: manuale e digitale. Il digitale è il futuro, non ci sono dubbi. Ma continuare a lavorare con materiali e tecniche manuali e analogiche è necessario.

Le tendenze e gli stili sono in continuo cambiamento. Ciò che è ben progettato oggi, può essere inadatto al domani. Dove vedi la calligrafia tra dieci anni?
Sono certo che la calligrafia sarà in grado di adattarsi a qualunque futuro: è fatta da umani, e gli umani sono in grado di adattarsi alle nuove realtà. Dopotutto, la scrittura è un mezzo di comunicazione estetica, un punto fermo della nostra cultura che esiste da migliaia di anni. Non credo che il futuro possa fermarla.

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We are and will be
«In questa foto sono ritratto con un testo creato digitalmente con Procreate che dice: “We are and will be”, siamo e saremo. L’ho realizzato in uno dei momenti più bui degli ultimi cinque anni, alla fine di una guerra che aveva ucciso 5.000 giovani ragazzi armeni e lasciato delusi e affranti i sopravvissuti. Ci sono stati momenti di dolore ed emozione intensa, nei quali ho davvero temuto per il futuro del mio popolo e della mia cultura. Ancora mi chiedo perché ci odino così tanto».

The Burning Chair
«Quando la crisi in Armenia è diventata insostenibile, il governo non è stato in grado di assumersi la responsabilità per la morte di migliaia di giovani soldati. Nessun politico ha fatto ammenda, nessuno si è dimesso. Bruciare una sedia, come simbolo di questo potere politico, è stata un’idea molto razionale. Ma poi ho ricordato il poster “Antigone” di Gunter Rambow del 1978, che mio padre mi aveva regalato quando ero un ragazzino, dopo un viaggio in Polonia. Quest’opera, quindi, è anche una mia memoria d’infanzia. Tutto il lavoro di realizzazione di “The Burning Chair” sono documentati su YouTube».

Freedom
«Non sono un artista astratto, ma verso la fine del 2018 ho iniziato a creare queste grandi composizioni semi-astratte, che realizzavo quasi d’istinto. È difficile lasciarsi andare tecnicamente, specie se come me hai una formazione da artista figurativo. Ho scoperto che limitando il controllo razionale per lasciare invece campo al subconscio, avviene una strana trasmissione di energia che guida la mia mano, come in un flusso ininterrotto. C’è una parola scritta innumerevoli volte in questa opera: la parola è ազատություն: libertà».

Counter-Revolution
«L’intensità del gesto della mano e il limitato controllo razionale sono in grado di creare opere come questa, che ho chiamato “Counter-Revolution”. Ci vedo dentro delle forze ostili, ma sono forze interiori, dettate da emozioni personali. I segni mi ricordano i “Dogs of War” dell’omonima canzone dei Pink Floyd. Mentre la realizzavo, non ero completamente conscio di ciò che la mia mano stava facendo con il marker: ricordo però quanta pressione e forza stessi impiegando, consapevole che il PVC avrebbe resistito laddove la carta, invece, si sarebbe semplicemente strappata. Considero questo poster uno dei miei lavori migliori fino ad oggi».


RUBEN MALAYAN
Ruben Malayan (Armenia, 1971) è un premiato art director, calligrafo e visual artist. Ha studiato pittura prima e grafica poi in Armenia. In oltre venti anni di lavoro, ha realizzato progetti a cavallo tra identità visiva, tipografia e calligrafia. Dopo oltre dieci anni di ricerca sull’arte della scrittura, ha sviluppato un personale portfolio di calligrafia armena. I suoi lavori sono pubblicati in numerosi testi internazionali. Ruben Malayan è il fondatore di “The Armenian Genocide in Contemporary Graphic & Art Poster” (2001, Amsterdam), un progetto di sensibilizzazione che ha ricevuto ampia copertura mediatica in tutto il mondo. Oggi insegna Visual Communication alla American Università in Armenia, e Disegno al Terlemezyan Art College.


22/12/2023


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