Per resistere allo spostamento dei consumi online, i brand – su tutti quelli della moda e dello sportswear – puntano sulla sostenibilità e sull’integrazione con il digitale, per garantire esperienze “green” ma pur sempre uniche ai consumatori. Come se non bastasse, la pandemia fa emergere nuove esigenze legate alla sicurezza. Come conciliare tutti questi aspetti? Alcuni professionisti del settore hanno provato a rispondere.
Di Caterina Pucci | Su PRINTlovers 85
I negozi tradizionali hanno ancora senso di esistere? Lo spostamento delle vendite online e la progressiva affermazione dell’e-commerce hanno avuto pesanti ripercussioni sul retail tradizionale, senza affossarlo totalmente. Certo è che il cambiamento nelle abitudini di consumo ha imposto un ripensamento dei punti vendita. La trasformazione digitale cominciata qualche anno fa ha subito un’accelerazione in seguito alla pandemia, ponendo brand owner e retailer di fronte a una serie di sfide inedite. I consumatori sono diventati più sensibili alle questioni legate alla sostenibilità e apprezzano i brand che dimostrano di impegnarsi concretamente nella ricerca di soluzioni orientate al concetto di riuso e di economia circolare. Le esperienze immersive che giocano sull’integrazione con le tecnologie digitali restano un punto di forza, ma durante la pandemia è sorta l’esigenza di ridurre i tempi di permanenza in negozio e muoversi in totale sicurezza. In che modo i professionisti del settore si preparano ad affrontare i cambiamenti in atto? Lo abbiamo chiesto ad alcuni di loro: Michele Rubbi di Easycom & C., Giorgio Grando di ABS Group, Maurizio Costa di Scandit e Anna Pellizzari di Materially.
Cominciamo dalle vetrine
Nonostante l’avvento dell’e-commerce, le vetrine restano uno dei principali punti di attrazione per i brand. In particolar modo nel luxury rappresentano una delle prime forme di storytelling con cui i consumatori vengono a contatto nella vita reale, utile a rafforzare l’identità del marchio. L’attenzione rivolta alle vetrine ha reso i professionisti del visual display sempre più indispensabili, convincendo brand e department store a predisporre team e creatività dedicate. Ce ne parla Michele Rubbi, titolare di Easycom & C., azienda con sede a Treviglio (BG) specializzata nella progettazione e realizzazione di vetrine e allestimenti per brand del lusso: «La chiusura dei punti vendita resa necessaria dalla pandemia ha privato i nostri clienti del fattore “esperienziale” che è un elemento chiave in generale nel commercio e in particolare nel luxury, ambito in cui l’esperienza d’acquisto, curata nel minimo dettaglio, costituisce un valore aggiunto».
Anche prima dell’emergenza, comunque, il mondo della vetrinistica si stava interfacciando con alcuni cambiamenti epocali. «Come è avvenuto per tutto il comparto moda, nella realizzazione di una vetrina i tempi si sono ridotti enormemente. Tendenzialmente l’allestimento per una collezione “main” ha una durata di circa un paio di mesi, quello di una “cruise” di una ventina di giorni – aggiunge Rubbi. Questo ha impattato anche sul nostro lavoro, per poter stare al passo con i tempi e le esigenze dei clienti. Ciò ha significato condensare le fasi di brainstorming, progettazione e prototipazione, per poter passare il più velocemente possibile alla produzione e successiva installazione». Per far fronte a queste esigenze, Easycom & C. ha scelto di gestire internamente parte dei processi (reparti di falegnameria e lavorazione di metallo e materie plastiche, che sono tra i principali materiali utilizzati) affidandosi a partner esterni per quel che riguarda la parte delle finiture.
Un altro cambiamento riguarda l’avvento degli strumenti digitali. Alcuni brand del lusso hanno fatto da apripista, cominciando a sperimentare, all’interno delle loro vetrine, pareti di videowall, sulle quali lasciar scorrere immagini a “tema”, in base alla collezione e alla stagionalità, e modificando, all’occorrenza, complementi d’arredo ed espositori. «Al momento i videowall sono una soluzione adottata soprattutto dai grandi marchi, ma sono convinto che, seguendo l’esempio dei “grandi”, sempre più brand cominceranno ad adottare soluzioni simili nei prossimi anni».
Phygital sì, ma occhio a restare autentici
La parola “phygital” (crasi di “physical” e “digital”) si è diffusa negli ultimi anni per indicare la combinazione di elementi fisici e digitali all’interno di un allestimento. Alcuni stampatori hanno fatto di questa integrazione il punto di forza della propria offerta, come ABS Group, azienda veneta specializzata nella progettazione e realizzazione di allestimenti per punti vendita, eventi fieristici e museali.
Fondata nel 2007, ABS Group è stata una delle prime realtà italiane a introdurre il tessuto stampato in digitale in ambito allestitivo. Durante l’ultima edizione di Euroshop 2020, l’azienda si è presentata con una nuova tipologia di lightbox dinamici, studiati per “regalare” un’esperienza immersiva agli utenti. Una serie di speciali sensori, infatti, rilevano il comportamento dell’utente davanti alle strutture espositive e “reagiscono” attivando giochi di luci ed effetti sonori.
«Abbiamo sempre dedicato grande attenzione alla ricerca e sviluppo di materiali e soluzioni all’avanguardia – spiega Giorgio Grando, Product Thinker e Innovation Researcher di ABS Group. Da qualche tempo abbiamo cominciato a sperimentare un approccio diverso per dialogare con brand e agenzie e arrivare a soddisfarne le richieste. Piuttosto che proporre loro le ultime innovazioni presenti sul mercato, preferiamo metterci a tavolino per capire insieme quali soluzioni sono più funzionali a raggiungere l’obiettivo che si sono preposti. Questo ci permette di progettare ogni singolo allestimento, calibrandolo sulle specifiche necessità del cliente, rendendolo coerente con il messaggio che vuole comunicare». Non è detto, insomma, che la soluzione più all’avanguardia si riveli anche la più indicata per un certo tipo di target.
«Le più recenti analisi confermano quanto il comportamento dei consumatori sia davvero poco predittivo e che affidarsi a “generici” trend di mercato non è quasi mai sufficiente – prosegue Grando. Basti pensare alla generazione dei nativi digitali, la cosiddetta Gen Z. Si tratta di una fascia di consumatori che, all’interno del punto vendita, presta molta più attenzione alle componenti “materiche”. Proprio perché costantemente connessi, i consumatori più giovani sono alla perenne ricerca di esperienze offline, che facciano meno affidamento possibile sugli strumenti digitali e comunichino un’idea di autenticità».
Il futuro è contactless?
Un altro effetto della pandemia è stato spingere i consumatori a preferire i canali online e i pagamenti contactless. Già prima dell’emergenza, l’introduzione di soluzioni self-scanning e scan-and-go era stata apprezzata all’interno di tutte le principali catene di supermercati. Una ricerca di TWC, intitolata ha evidenziato come la pandemia abbia creato un aumento della domanda di casse self-scan e di pagamenti contactless. Due terzi degli intervistati hanno dichiarato di accogliere con favore le casse self-scan o un’applicazione per scansionare i prodotti e pagarli una volta entrati in negozio. Ce ne parla approfonditamente Maurizio Costa, Sales Manager Italy di Scandit. Il contributo dell’azienda a questo nuovo approccio phygital di vivere l’acquisto si concretizza nella proposta di un’app per la scansione dei barcode, integrata all’interno degli smartphone degli addetti alle vendite, progettata per automatizzare le fasi operative all’interno degli store.
«Lo shopping in un negozio fisico è un’esperienza umana e sociale che consente di testare dal vivo un prodotto, ricevere consigli da un commesso su quali articoli abbinare e ricevere una gratificazione immediata, uscendo dal negozio con il proprio acquisto in mano. Neanche il negozio online più evoluto può fornire la stessa esperienza sensoriale – spiega Costa. La velocità dei dispositivi di mobile self-scanning e scan-and-go permettono di godere dell’esperienza, senza sottovalutare le nuove esigenze di sicurezza determinate dall’emergenza sanitaria, assicurando il mantenimento della distanza dagli altri e la tranquillità nell’entrare nei negozi». Non c’è dubbio, quindi, che anche in futuro i negozi fisici saranno ancora una volta una parte molto rilevante del mix del retail.
Alcuni negozi si trasformeranno in showroom, mentre altri punti vendita potranno prevedere un piccolo spazio di vendita abbinato a uno spazio molto più grande dedicato alla gestione dell’inventario per la realizzazione di attività di click-and-collect e ship-from-store.
Già nel 2018 Scandit aveva avviato con Lagardère Travel Retail Italia una collaborazione che ha coinvolto i punti vendita situati presso gli aeroporti di Roma Fiumicino e Venezia, per poi estendersi a tutti i negozi fisici in Italia. Il brand ha scelto Scandit per migliorare la propria app mobile di queue busting (gestione delle code), implementando soluzioni di scansione di barcode che permettono agli addetti alle casse di velocizzare le fasi di check-out delle vendite. Negli ultimi mesi, altri brand del lusso hanno deciso di sperimentare queste soluzioni per dare un miglior servizio al proprio cliente. Grazie all’integrazione delle mobile app con le loro soluzioni, gli addetti alle vendite sono in grado di fornire un servizio eccellente potendo accedere in modo veloce e senza difficoltà di scansione alle informazioni dei prodotti. Per esempio, Hermes UK ha implementato la scansione dei codici a barre ad alte prestazioni di Scandit, migliorando così i processi di consegna.
«I corrieri saranno in grado di scansionare articoli, registrare una firma elettronica, verificare un documento d’identità e scattare una foto laddove è stato lasciato un pacco. Il tutto servendosi di un semplice smartphone dotato dell’app Scandit, riducendo la necessità di acquistare centinaia di scanner, dai costi spesso proibitivi», conclude Costa.
Alla ricerca di materiali sostenibili e “smart”
Se emerge dunque la necessità di integrare elementi digitali, il punto vendita rimane pur sempre un luogo di incontro fisico, in cui la scelta dei supporti e delle tecnologie utilizzate per stamparli non può essere trascurata.
In tal senso, nuove esigenze di sicurezza, sanificazione e pulizia sono emerse in seguito alla pandemia e i brand owner non potranno non tenerne conto. Secondo un recente rapporto McKinsey il 59% degli intervistati dichiara di non voler frequentare negozi troppo affollati, mentre il 50% ammette di continuare ad acquistare solo da marchi in grado di garantire il rispetto delle normative in materia di igiene. In generale, il report rileva che il tempo di permanenza all’interno di un negozio è destinato a ridursi al minimo necessario all’acquisto.
Un dato che sembrerebbe penalizzare la valorizzazione della customer experience, alla quale brand e retailer non intendono rinunciare. Anzi proprio in virtù del progressivo spostamento delle vendite online, è necessario che gli store vengano percepiti come luoghi di interazione, comunicazione e trasmissione dei valori. Ce lo spiega Anna Pellizzari, Executive Director di Materially: «Basti pensare ai brand di abbigliamento sportivo. Pur disponendo di piattaforme e-commerce strutturate affidano ai propri punti vendita e pop-up store il compito di raccontare la loro identità. La scelta dei materiali diventa quindi funzionale a questa narrazione, grazie all’uso di materiali sostenibili, manichini inclusivi, grandi schermi dove vengono proiettati non solo i prodotti ma anche immagini di eventi sportivi». Un caso, secondo Pellizzari, è quello offerto da Adidas con il rinnovamento del flagship store in Oxford Street, a Londra. 26.900 metri quadri dotati di camerini “immersivi” e altre integrazioni digitali.
Invece di aspettare di ricevere l’aiuto di un assistente alle vendite, gli acquirenti possono selezionare la funzionalità Bring It To Me dall’app nativa Adidas per richiedere i prodotti da provare, e poi dirigersi verso i camerini, dove possono vedere gli abiti indossati “calati” in un contesto urbano, grazie allo specchio che si trasforma in uno schermo digitale. Dal canto loro, i commessi possono utilizzare la stessa funzione per tracciare le posizioni dei singoli clienti all’interno del negozio. Altre tecnologie tengono traccia di quanto tempo i clienti trascorrono in ciascuna area dello store, consentendo al brand di ottimizzare il posizionamento degli articoli.
Altro grande trend che sembra non conoscere crisi in termini di materiali è quello della sostenibilità, soprattutto in relazione al fine-vita. «I punti-vendita infatti hanno una vita media di circa 5 anni, dopodiché vengono rinnovati per dare spazio a nuovi concept estetici – aggiunge Pellizzari. Il rinnovo implica spesso una completa ristrutturazione, con eliminazione fisica dell’allestimento precedente: per un brand che ha migliaia di punti vendita in tutto il mondo significa buttar via tonnellate di materiali. Le aziende se ne stanno finalmente rendendo conto e cercano di utilizzare materiali riciclabili, con contenuto riciclato, oppure riutilizzabili o recuperati. Oltre naturalmente a progettare i concept in modo che siano rinnovabili senza la necessità di eliminare fisicamente nulla, ma in una logica orientata alla modularità o al circular design», spiega Pellizzari. Molti brand tendono a dotare i flagship della certificazione LEED (Leadership in Energy and Environmental Design), inserendo all’interno degli allestimenti materiali con emissioni basse o pari a zero o che contribuiscono al risparmio energetico.
Cosa ci aspetta?
La grande sfida per i retailer sarà dunque bilanciare la necessità di continuare a percepire gli store come un luogo di interazione sociale e quella di garantire la sicurezza delle persone che lo frequentano. I consumatori saranno portati a scegliere, ancora una volta, i brand sulla base di un sistema di valori condiviso. Compito di brand owner e retailer sarà quello di non ignorare le istanze degli utenti o nascondersi dietro blande iniziative di “greenwashing” o sanificazione degli spazi. La mossa vincente sarà operare un cambiamento progressivo, ma profondo, coinvolgendo tutti gli operatori della filiera (inclusi produttori di materiali e print service providers) per restituire un’esperienza ottimizzata, ma il più possibile autentica.