Immaginiamo un mondo in cui nulla – dai sottoprodotti di lavorazione industriale ai rifiuti domestici – venga scartato. In cui le materie prime possano rinnovarsi all’infinito, o siano capaci di crescere da sole nella loro forma definitiva. Con applicazioni che vanno dal fashion all’interior design, dagli accessori al packaging. È l’obiettivo cui tendono startup e studi di design di tutto il mondo, Italia compresa, che stanno concentrando la loro ricerca su una nuova generazione di materie prime alternative ai prodotti di sintesi, di origine fossile o non rinnovabili. Nel tentativo, innanzitutto, di mostrare nuove possibilità, cambiare la cultura dei materiali, rideterminarne il valore. Abbiamo selezionato 12 neo-materiali dalla Future Material Library presentata nel Trend Space di Heimtextil, la più importante fiera di riferimento per il tessile per la casa e il contract che si è svolta a Francoforte dal 7 al 10 gennaio 2020.
Di Michela Pibiri | Su PRINT 81
REMADE: VALORE AI RIFIUTI
Il concetto del ‘rifare’ parte dall’idea che i rifiuti di oggi possano essere i materiali di domani. Il consumo delle risorse naturali sta spingendo i designer a ripensare il valore che attribuiamo loro. Dalla plastica monouso agli scarti dell’industria tessile, senza dimenticare gli abiti usati, i designer impegnati in questo ambito intercettano i flussi degli scarti domestici e industriali per renderli materie prime alternative.
Bahia Denim, marmo in blue jeans.
È il progetto di Sophie Rowley (Germania) che parte dagli scarti di denim e dai jeans dismessi. Gli strati di tessuto recuperato vengono sovrapposti e uniti con resine epossidiche a base acquosa, per ottenere lastre che, una volta asciugate e indurite, possono essere tagliate per realizzare oggetti d’arredo. La superficie ricorda il marmo, e il progetto prende il nome dall’azul bahia, un granito brasiliano noto per il suo sorprendente colore blu. Come gli oggetti realizzati in marmo naturale, ogni pezzo realizzato con Bahia Denim è unico.
Paper Factor, l’evoluzione del papier-mâché.
In Italia troviamo Paper Factor, una versione moderna della cartapesta tradizionale. Parte tutto dalla polpa di cellulosa post consumer – e proveniente, in origine, da foreste certificate FSC – che viene lavorata a mano, tinta con pigmenti naturali e agglomerata con colle a base d’acqua prima di essere pressata in moduli progettati digitalmente. Ne risulta una ‘micro-carta’ forte, leggera e resistente che può essere utilizzata come rivestimento murale oppure modellata tridimensionalmente, scolpita e lucidata per ottenere una vasta gamma di finiture e forme. Il processo di produzione vanta un’alta efficienza energetica. Infine, Paper Factor può essere riconvertito in fibre e riutilizzato.
Recyc Leather, una nuova generazione di pelle riciclata. Direttamente dagli scarti di produzione delle fabbriche di guanti arriva la materia prima di Recyc Leather, azienda green di Hong Kong nata nel 2016. Recyc Leather ha formulato una pelle 100% riciclata, resistente e soffice, che oltrepassa i limiti meccanici della generazione precedente di pelle riciclata, considerata di basso livello per via della sua fragilità. Usata da brand in tutto il mondo per confezionare zaini, sneakers, borse e accessori di alta qualità, il prodotto è disponibile in diverse trame e finiture, tra cui il saffiano e il vitello, ed è realizzata interamente dagli sfridi di pelle triturati e amalgamati con una gomma naturale per formare grandi fogli.
SOTTOPRODOTTI BIOLOGICI
Ci si aspetta che la popolazione mondiale superi i nove miliardi entro il 2050, producendo un immenso flusso di rifiuti organici che può essere sfruttato per rimpiazzare gli attuali materiali sintetici e inquinanti. Dai sottoprodotti dell’industria agroalimentare ai ritagli presi dal pavimento del parrucchiere (sì, ci sono ricerche anche in questo ambito), i designer più sperimentali stanno rivalutando i rifiuti organici per trasformare materiali indesiderati in prodotti non solo funzionali, ma anche belli.
PineSkins, il pino silvestre cambia pelle. Lo Studio Sarmite (Paesi Bassi) con il suo PineSkins ha trovato un uso per la corteccia di pino, generalmente scartata come sottoprodotto quando gli alberi vengono tagliati per il legname. La designer Sarmite Polakova raccoglie la corteccia quando è ancora fresca e la tratta con cere naturali che ne preservano la naturale morbidezza e valorizzano la sua somiglianza con la pelle. La corteccia può essere colorata, rifinita e modellata in oggetti di uso quotidiano quali tappeti, borse e cestini, progettati per valorizzare la forma naturale della corteccia. La sua deperibilità, dice Polakova, fa parte della sua filosofia: è infatti completamente biodegradabile.
Orange Fiber, finissimi tessuti d’arancia. In Sicilia troviamo Orange Fiber, che, grazie alla collaborazione con i produttori locali di succo d’arancia, realizza tessuti di altissima qualità per il fashion partendo dalla lavorazione degli scarti delle arance dopo la spremitura. Orange Fiber ha sviluppato un processo innovativo per estrarre la cellulosa dal cosiddetto pastazzo, composto da residui di buccia, polpa e semi, ottenendo un polimero che può essere filato e tessuto e restituisce una stoffa fine ed eterea. Salvatore Ferragamo e H&M hanno già utilizzato questa fibra nelle loro collezioni.
Totomoxtle, interior design a base di mais. Il designer messicano Fernando Laposse sta collaborando con la comunità Tonahuixtla di Puebla per reintrodurre antiche varietà di mais nell’agricoltura locale, e valorizza il loro ricco spettro di colori col Totomoxtle, un materiale per impiallacciatura ricavato dalle bucce del mais. Il progetto non solo dà vita a un materiale completamente ecosostenibile, ma promuove la biodiversità e genera guadagni per la comunità locale. Una volta che il mais viene raccolto, le bucce vengono stirate e accoppiate a carta o tessuto o sughero riciclati, tagliate in piccoli pezzi e assemblate a intarsio come finitura per mobili e superfici d’interni.
MATERIALI VIVENTI
Pensiero creativo e microbiologia sono il mix perfetto per i materiali viventi. Innescati da funghi e batteri, questi materiali di nuova generazione crescono e vengono stabilizzati in laboratorio, dando luogo a tessuti e supporti completamente biodegradabili adatti a diversi scopi. Ne sono un esempio il micelio, che sta conquistando terreno in ambito edilizio, nell’industrial design e nel packaging, le pelli vegane e alcuni tipi di tinture tessili di origine batterica.
Malai, la cellulosa batterica. Malai, produttore indiano, ha messo a punto delle colture batteriche alimentate con l’acqua di scarto delle noci di cocco, che nell’arco di 12-15 giorni di fermentazione producono un foglio di cellulosa gelatinosa. Il prodotto grezzo viene arricchito con fibre naturali, gomme e resine prima di essere essiccato all’aria, ammorbidito e infine trattato per essere resistente all’acqua. Viene poi tinto con processi e colori di origine naturale. Il risultato è un materiale simile alla carta e alla pelle, che può essere prodotto in fogli o modellato per realizzare oggetti 3D.
Mogu e Tŷ Syml, ossia re micelio. Ne abbiamo già parlato in passato, perché sembra essere davvero il materiale del futuro. Mogu, azienda del Varesotto, ha sviluppato materiali da interni come pannelli insonorizzanti e pavimenti resilienti a partire dall’apparato vegetativo dei funghi, il micelio appunto, mixato con resine o con fibre tessili recuperate per ottenere una consistenza soffice simile alla schiuma fonoassorbente. Tutto disponibile in diversi colori, forme e dimensioni, anallergico, durevole e completamente biodegradabile. Anche lo studio britannico Tŷ Syml punta tutto sulla combinazione di micelio e altri supporti provenienti da scarti di lavorazione (canapa, frammenti di legno, segatura, cereali esauriti) per la realizzazione di oggetti d’arredo.
Faber Futures, tinture tessili vive e attive. Dall’incontro tra biotecnologie, design, artigianalità e ingegneria, lo studio londinese Faber Futures ha realizzato una collezione di tessuti che impiega un batterio che vive nel suolo, lo Streptomyces coelicolor, che interagisce con fibre tessili proteiche per creare una finitura colorata senza l’uso di sostanze chimiche. Il processo può essere applicato alla stampa tessile sia su larga scala sia su pezzi unici personalizzati. Il processo utilizza molta meno acqua rispetto ai tradizionali metodi di tintura industriale e dimostra come sia possibile scalare a livello industriale nuovi metodi e tecnologie.
RISORSE NATURALI
Non poteva mancare, nella nostra selezione, un riferimento ai materiali naturalmente disponibili: agave, juta, canapa, foglie di palma, ortiche… che possono sostituire in maniera innovativa le colture tradizionalmente sfruttate a livello intensivo. Varietà resilienti, spesso appartenenti a patrimoni locali dimenticati, quando coltivate con metodi sostenibili rappresentano un’alternativa praticabile e rispettosa della biodiversità.
Palmleather, foglie di palma per rilegare i libri. Dalla palma Areca viene un’alternativa economica e sostenibile alla plastica, alla gomma e alla pelle. Messa a punto dal designer olandese Tjeerd Veenhoven, Palmleather si ottiene dalle foglie di una specie di palma abbondante in tutta l’Asia, che, immerse in una speciale soluzione di glicerina, assumono flessibilità e resistenza. È una supporto adatto alla legatoria, al rivestimento di arredi, al confezionamento di scarpe e borse, con applicazioni che arrivano fino all’automotive come alternativa vegana agli interni di pelle.
Barktex, tessuto di corteccia. Barktex (Uganda/Germania) è un tessuto ricavato dalla corteccia dell’albero di fico mutuba che cresce nell’Africa orientale, ed è uno dei prodotti tessili più antichi della storia dell’uomo, tanto da avere il patrocinio dell’Unesco. La sua produzione è artigianale, portata avanti da piccole aziende in Uganda. La corteccia di mutuba può essere raccolta ogni anno senza causare danni alle piante: una fonte rinnovabile all’infinito. La produzione del tessuto richiede l’uso di pochissima acqua, senza leganti e tinture sintetiche, e la sua consistenza finale può variare dall’effetto pelle al filato lanoso e delicato. Una versatilità che rende il Barktex ricercatissimo da architetti, designer e artisti, che lo usano come superficie da interni o per la realizzazione di accessori.
Hemp panels, isolare con canapa e zucchero. La britannica Margent Farm realizza a partire dalla canapa un’alternativa solida e durevole ai classici pannelli per l’edilizia in lamiera ondulata, PVC, bitume e cemento. Le fibre sono legate con una resina a base di zucchero ricavata da scarti agricoli. I pannelli possono essere impiegati come isolante sia in interno sia in esterno. La canapa matura in fretta, ha bisogno di poca acqua e non richiede pesticidi; ha inoltre effetti benefici sull’ambiente perché cattura il diossido di carbonio mentre le sue lunghe radici rompono il terreno e lo preparano per il raccolto successivo.