Interviste

L'arte di disegnare le superfici

Il colore come campo di ricerca non solo estetica, ma anche antropologica e sociologica. La natura come fonte di ispirazione nelle forme e nei materiali, la sostenibilità come principio fondante del design. Dai tessuti per il fashion al packaging, passando per l’interior decoration, abbiamo chiesto alla textile & surface designer Silvia Osella di raccontarci i segreti — e le ultime tendenze — della straordinaria arte di disegnare le superfici stampate che incontriamo ovunque nelle nostre vite.

Di Roberta Ragona | Su Print 81

Come cambia il tuo lavoro a seconda dei supporti su cui verrà stampato? In che modo la texture dei materiali e la loro ‘personalità’ di partenza influenzano il design thinking?
Più che la texture del supporto è l’utilizzo finale a dover essere accuratamente analizzato. Si parte dal capire come valorizzare al meglio la superficie, se c’è bisogno di leggerezza o di dinamismo, di sfruttare al massimo superfici molto piccole o di decorare e dare vita a spazi ampi. Il materiale arriva dopo: è sempre molto interessante per me imparare processi nuovi in base alle superfici con cui mi misuro, valutarne limiti e possibilità per capire come valorizzarli al massimo.
Nel caso di Wall&decò, per esempio, il lavoro si sviluppa grazie a un team di designer selezionato negli anni, con una varietà di stili e percorsi di ricerca personale. Questo fa sì che i creativi contribuiscano alla crescita della collezione con grande libertà e autonomia. A inizio stagione si condividono i moodboard delle tendenze, che poi serviranno a individuare all’interno della collezione una serie di temi da sviluppare anche a livello comunicativo e di storytelling. Io lavoro creando un ulteriore moodboard personale, ancora più specifico, partendo dalle suggestioni ricevute. Per la collezione dell’anno scorso mi piaceva l’idea di riprendere i colori e i motivi del surface design nordico degli anni Cinquanta – che sono sempre stati una mia grande ispirazione – e reinterpretarlo in chiave più contemporanea. Dopodiché condivido con l’art director e il fondatore di Wall&decò le proposte tra cui scegliere. Quelle che entrano nell’allestimento vengono scelte anche in relazione al resto del catalogo, che deve sempre garantire una varietà di stili. Da lì in poi il dialogo è con i tecnici che si occupano della produzione, ed è proprio in questa fase che il lavoro di textile designer si differenzia nettamente da quello dell’interior designer: ciò che su tessuto ha una determinata resa, sulla carta da parati ha un’altra gamma di colori stampabili e altre specificità tecniche.


Esiste in questo momento una contaminazione tra design tessile e arti grafiche, che rende pattern e materiali trasversali a diversi ambiti, dagli abiti al packaging, dagli allestimenti in store al below the line?
È da anni che assistiamo a un processo di osmosi tra questi settori; trovo però che in questo momento si stia finalmente capendo come farlo in modo fluido, innovativo e mirato a rafforzare le identità dei brand, piuttosto che di omologarle.
Ogni settore, per la diversa natura delle superfici e per le tecniche utilizzate, ha delle specificità che richiedono che il designer studi da zero il meccanismo di produzione, perché anche se possono esserci dei punti in comune e una sensibilità grafica condivisa, le tecniche sono talmente differenti che sottovalutare questo aspetto può essere fonte di grande frustrazione. Tenere conto di queste specificità semplifica tantissimo il processo di creazione.

Il tuo lavoro, oltre che di Textile & surface designer è anche di Trend & color consultant. Quali sono, in questo momento, i temi più importanti del settore tessile?
Un tema molto rilevante è il ritorno dell’artigianalità, ma anche la celebrazione della diversità culturale che parte dal recupero delle proprie origini. Un esempio di questo fenomeno, tra i materiali, è il lino, che è tornato in auge grazie a tagli e motivi più contemporanei. Si guarda inoltre al futuro con rinnovata positività grazie a importanti passi avanti nella ricerca scientifica, lasciandosi alle spalle un periodo di crisi in cui l’introspezione e il ritorno a ritmi di vita più lenti hanno avuto un ruolo decisamente centrale. Ovviamente è sempre molto complesso tradurre questi macro-temi in azioni concrete, anche perché l’applicazione varia moltissimo a seconda dei campi. Per esempio, la riscoperta del know-how delle tecniche del passato si riflette molto nell’uso delle terre, e nei colori terrosi c’è un aspetto legato alle radici materiali e tecniche di scelte estetiche che poi diventano iconografiche, colpendo l’immaginario. L’evoluzione del colore al momento sta seguendo due strade molto chiare e distinte: una ispirata alla natura, alle tonalità e alle tinture appunto naturali, collegate al tema centrale della sostenibilità; l’altra in direzione opposta, verso sfumature artificiali e di forte contrasto.

Materiali sostenibili non significa solo tessuti naturali, ma anche fibre riciclate e neomateriali come il Tencel, o ancora quelli ricavati dalla frutta come ananas, banane o arance. Hai avuto modo di lavorare con queste nuove materie prime? Quanto sono diffuse, attualmente, nell’industria tessile?
Ho avuto modo di lavorare con alcuni di questi materiali, tra cui il Tencel, una viscosa certificata dal Forest Stewardship Council prodotta dalla rigenerazione della cellulosa di legno. Quanto alla diffusione su scala industriale, realtà come Piñatex, Orange Fiber e altre sono riuscite a superare brillantemente i principali scogli che impediscono alle aziende di lavorare con fibre innovative: la difficoltà, in molti casi, è nel passare dallo stadio di prototipo a vero e proprio prodotto industriale. Spesso le idee nascono da piccole startup, e non sempre queste realtà trovano la strada giusta per scalare in un processo industriale queste ottime intuizioni. A volte viene comunicata con entusiasmo la nascita di una nuova fibra, ma c’è sempre una serie di passaggi – e di investimenti – da affrontare, per cui anche i materiali più promettenti possono rivelarsi un vicolo cieco. Ci si può addirittura rendere conto che richiedono dei processi che, una volta portati su larga scala, si rivelano ancora più impattanti delle tecniche consolidate, perché magari la fibra ha bisogno di più solventi per essere lavorata o di lavaggi a temperature più alte. Bisogna tenere in considerazione anche il modo in cui la fibra resiste all’uso nel lungo periodo, per cui una fibra che sembrava promettente ma si rivela non altrettanto resistente all’usura, o che perde la forma in fase di tessitura, o ancora non tiene il lavaggio non è una fibra stabile pronta per il mercato, e dunque non rappresenta un’alternativa sostenibile.

Ancora oggi la sostenibilità è considerata un lusso, ma uno degli intenti del progetto iluut di cui sei co-fondatrice è rendere la moda sostenibile alla portata di tutti. Ci sono altri segnali in questa direzione?
Fortunatamente sì. Uno dei grandi macro trend del momento è legato proprio alla democratizzazione della sostenibilità: fino a poco tempo fa l’abbigliamento etico ed ecologico era per pochi, ma semplicemente perché la domanda era molto limitata, e così anche i fornitori presenti sul mercato. In questo momento iluut è in pausa ma nel 2014, quando io, Elina Cerell e Vj Taganahan l’abbiamo creato, eravamo davvero in pochi. Ora invece i marchi sostenibili stanno crescendo sia in numero che in varietà dell’offerta, in particolare nel Nord Europa.



Silvia Stella Osella. Fo
rmatasi come illustratrice allo IED di Torino – dove da quattro anni è tornata come visiting professor in Surface & pattern design –  e come textile designer alla Central Saint Martins di Londra, Silvia Osella ha iniziato la sua carriera all’interno del Gruppo Miroglio, ad Alba, per poi passare alla Società Europa Tessile di Roma.
Nel 2015 ha aperto il suo studio di Textile & surface design, che annovera clienti come Adidas, Dondup, Mango,  Massimo Dutti, Pull&Bear, Topshop e Zara (anche Home e Kids). La sua ricerca sui materiali l’ha avvicinata anche all’interior design: collabora infatti con importanti realtà del settore come Wall&decò alla progettazione grafica delle carte da parati.
Appassionata di libri antichi sul colore e la botanica, la sua profonda ricerca l’ha portata ad affermarsi anche come Trend & color consultant, per aiutare i brand con cui lavora a individuare le tendenze in arrivo e trovare modi inediti di interpretarle. Non da ultimo, Silvia Osella è fondatrice, insieme a Elina Cerell e Vj Taganahan, di iluut, brand di abbigliamento etico e sostenibile la cui capsule collection è stata presentata in esclusiva per YOOX / NET-A-PORTER nel 2017


19/06/2020


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