Progettare una nuova normalità di fronte a un evento catastrofico senza precedenti nel mondo globalizzato non è impresa facile, soprattutto nell’impossibilità di sapere, per il momento e in termini scientifici, se il futuro che ci attende potrà definirsi realmente post-Covid-19 o se si tratterà di una lunga convivenza col virus che costringerà a ripensare radicalmente il nostro stile di vita. Quel che è certo è che l’emergenza sanitaria ha stravolto da un giorno all’altro obiettivi e priorità, modalità di acquisto e di consumo, innescando previsioni sui modelli che i brand dovranno adottare nel medio e lungo periodo per garantire un futuro che vada oltre la mera sopravvivenza.
Di Michela Pibiri | Su PRINT 82
L’eco del modo in cui i brand hanno saputo affrontare concretamente l’emergenza, tra conversioni produttive per fornire presidi di protezione e sostegni economici diretti agli enti sanitari, risuonerà a lungo, ma non sarà sufficiente se non accompagnata da strategie che tengano conto delle esperienze, in molti casi dolorose e traumatiche, dei bisogni e dei nuovi riti nati nel seno dell’isolamento e del distanziamento sociale, di quelli che invece sono stati depennati dalla lista delle necessità, e del modo in cui le persone stanno impiegando il proprio tempo e indirizzando la propria attenzione. E che tengano conto anche di quanto il rallentamento della società, come riportano i dati di osservazione della Terra dell’European Space Agency, possa avere un impatto tangibile sull’ambiente. All’interno di un dibattito così complesso abbiamo raccolto i dati finora emersi in relazione a tre dei principali mercati che coinvolgono, nella loro filiera, la comunicazione stampata come veicolo di relazione tra brand e consumatore e da cui potrebbero partire innovazioni significative.
Fashion: la transizione non può più attendere
Se non ora quando, verrebbe da dire leggendo i dati sull’impatto del Covid-19 nella fashion industry mondiale. Uno dei settori più a tiro delle battaglie dei consumatori per una transizione verso una maggiore sostenibilità, è anche tra i più colpiti dalla crisi per via della concatenazione della filiera globale su cui si regge. La società di consulenza Bain & Co. riporta una contrazione delle vendite di beni personali di lusso che va dal 25 al 30% nel primo trimestre del 2020, stimando che nel corso dell’anno il mercato subirà una contrazione del 35%. Blocco della produzione, delle sfilate e della vendita al dettaglio rappresentano un duro colpo in un mercato in cui la vendita online rappresenta appena il 10% del fatturato. Il dato è ancora più rilevante se si considera che l’Italia rappresenta il 40% della manifattura di beni di lusso globale. Tuttavia, fa sapere McKinsey & Co., in questi due mesi un quarto degli acquirenti abituali del segmento luxury ha utilizzato per la prima volta il canale online: di questi, ben due terzi si è dichiarato soddisfatto. Un dato che spinge a riflettere su nuovi scenari nell’esperienza d’acquisto che se, fino ad oggi, era maggiormente orientata al punto di vendita fisico, ora deve puntare sull’omnicanalità che accompagni e “abbracci” l’utente. Una strategia di digitalizzazione che McKinsey inserisce in un quadro di suggerimenti (“navigate the now, plan for the recovery and shape the future”) che riguardano più strettamente gli aspetti produttivi, ma che potrebbe cambiare anche il sistema delle sfilate, cui fa da apripista il British Fashion Council che a giugno lancerà la prima fashion week interamente digitale.
Beauty: self-care, ma senza rossetto
In totale coerenza con i dati sul mondo del fashion, anche per la cosmetica si stima un calo della domanda a livello mondiale prossima al 30% per l’anno in corso, come emerge dai dati Mintel diffusi da Cosmetica Italia alla fine di aprile. La salute è vissuta come priorità, la cura di sé come conforto e senso di normalità. L’analisi evidenzia che i consumatori cercano prodotti con efficacia detergente e disinfettante, e che oltre a nuove abitudini igieniche si rimodula la beauty routine in funzione dell’utilizzo delle mascherine. Prodotti per il trucco viso e occhi vedono aumentare gradualmente il loro utilizzo in questo periodo, a discapito dei rossetti, così come si evolvono le texture dei fondotinta che devono evitare il rilascio di colore. Sempre Cosmetica Italia fa sapere che da febbraio ad aprile 2020 l’hashtag #maskmakeup ha registrato oltre 10.000 ricerche sulle piattaforme social per il trucco legato all’uso delle mascherine. Questo non significa, tuttavia, che la vendita di make-up sia in crescita. Alla sua frenata, causata dal blocco delle attività, la chiusura dei punti vendita specializzati (profumerie ed erboristerie), il blocco deiprodotti professionalieprodotti lusso,fa da contraltare la crescita dei consumi diprodotti per capelli e colorazione domestica. Sempre Cosmetica Italia segnala importanti casi di riconversione produttiva e, come Bain e McKinsey, spinge sulla necessità di un processo di digitalizzazione in grado di offrire esperienze omnicanali e di accelerare l’adattamento dei business alle nuove abitudini di acquisto, come le app che ricreano la routine in negozio e simulano il make up sul volto grazie alla realtà aumentata.
Vino: in Italia si attende il ritorno alla normalità
In Italia c’è una gran voglia di tornare alla dimensione socializzante e aggregante del consumo di vino. È ciò che emerge dall’indagine condotta su 1.000 consumatori di vino italiani dall’Osservatorio Vinitaly – Nomisma Wine Monitor: benché il lockdown abbia frenato i consumi degli italiani, l’80% degli intervistati si attende un post-Covid nel segno della normalità. Ossia, un sostanziale ritorno alle abitudini di prima, disponibilità economica e distanze da rispettare permettendo. E se il 55% dei consumatori non ha modificato le proprie abitudini, tre su dieci affermano invece di aver bevuto meno vino e birra durante l’isolamento, a fronte di un 14% che indica un consumo superiore. La diminuzione dei consumi degli ultimi due mesi è riconducibile alla mancanza della dimensione socializzante del consumo fuori casa: ristoranti, locali e wine bar. Il dato pesa per il 37% degli intervistati che hanno dichiarato di consumare meno vino. Chi invece dichiara un aumento del proprio consumo ha scelto il vino quale elemento di relax (23%) da abbinare alla cucina casalinga (42%). Sono di contro venuti a mancare elementi come la sperimentazione delle novità di prodotto (dal 73% del periodo pre-lockdown al 59%), la preferenza verso i piccoli produttori (dal 65 al 58%), i vini sostenibili (dal 65 al 61%) e gli autoctoni (dall’81 al 76%). In aumento invece l’acquisto online, salito di 5 punti percentuali (dal 20 al 25%): anche in questo caso un dato non soltanto da monitorare, ma da utilizzare per lo sviluppo di nuove strategie di omnicanalità. Un’iniezione di fiducia per il comparto, che tuttavia deve affrontare grandi sfide in termini di assetti economici e organizzativi dovuti all’impatto del virus.