Materiali e Printability

Ecofibre, il ritorno al futuro del tessile

Se è vero che il tessuto è nato partendo da fibre naturali (canapa, lino, cotone), l’industrializzazione ha portato alla nascita e diffusione su larga scala di fibre sintetiche e artificiali. E oggi che la sostenibilità è una priorità per i brand, l’innovazione si concentra soprattutto su nuovi supporti bio-based. Ma cosa sono esattamente, e come vengono realizzati? Proviamo a dare qualche risposta insieme ad Anna Pellizzari (Materially), Laura Fiesoli (Museo del Tessuto), Francesca Nori (Vérabuccia®) e Roberto Lucini (Creazioni Digitali).

Di Caterina Pucci | Su PRINTlovers 97

L’innovazione sostenibile nell’ambito dell’industria tessile sta facendo passi da gigante. La sostenibilità dei prodotti e dei processi è diventata una priorità per molti brand, e l’idea di realizzare supporti a partire da scarti organici, che fino a pochi anni fa sembrava fantascientifica, è diventata realtà. Nel mercato delle ecofibre, che nel 2021 ha raggiunto i 35 miliardi di dollari, sempre più aziende lavorano alla produzione di fibre alternative derivate dalla canapa, dalla pasta di legno, dai fondi del caffè, dalle alghe. Esiste un’industria emergente legata alla produzione di coloranti naturali per sostituire le sostanze tossiche usate tradizionalmente per trattare e colorare le fibre. Recentemente, Stella McCartney ha lanciato una collezione di denim biodegradabili prodotti con l’innovativo tessuto stretch COREVA, firmato da Candiani (di cui abbiamo parlato nel numero 96 di PRINTlovers). Aziende come Salvatore Ferragamo e H&M, per la linea Conscious Collection, utilizzano Orange Fiber, ottenuta dagli scarti di lavorazione delle arance e Hugo Boss ha prodotto le sue vegan sneakers in Piñatex, alternativa alla pelle prodotta utilizzando le foglie di ananas. La sfida più ardua consiste nel convertire le singole iniziative in un cambiamento strutturale. Nelle prossime pagine, proviamo a fare il punto della situazione, attraverso le esperienze e buone pratiche di professionisti del settore.

La sostenibilità come driver dell’innovazione nella moda
Per cominciare questo viaggio alla scoperta dei materiali bio-based abbiamo intervistato Anna Pellizzari, Executive Director di Materially, che da vent’anni mette in contatto produttori e aziende alla ricerca di soluzioni sostenibili. Innanzitutto, bisogna precisare che nel settore tessile le fibre “bio-based” non sono un’innovazione recente: anzi, il tessuto è nato partendo da fibre naturali (canapa, lino, cotone). Con l’industrializzazione dei processi e del mercato, ricerca e sviluppo hanno portato alla creazione di fibre cellulosiche artificiali, la viscosa in primis, che sono basate sulla trasformazione chimica della cellulosa per generare un filato con caratteristiche meccaniche e proprietà performative diverse rispetto alle fibre naturali. In modo analogo vengono create fibre artificiali da fonti bio-based come l’olio di ricino (per il nylon) o polisaccaridi (per il poliestere) ma anche da polimeri naturali come chitina, caseina, etc. «Con il forte incremento del consumo tessile negli ultimi anni, che tra l’altro si stima raddoppierà entro il 2030, è aumentato l’interesse verso fonti di materie prime alternative a quelle utilizzate attualmente, in particolare la cellulosa, largamente disponibile» spiega Pellizzari. «La ricerca si sta concentrando in particolare sui processi innovativi per rendere la filiera meno impattante: ad esempio si punta a rendere accessibili fonti di cellulosa inesplorate, come i sottoprodotti della filiera agroalimentare e forestale». Un caso esemplificativo è il progetto di ricerca e innovazione GRETE – Green chemicals and technologies for the wood-to textile value chain, che ha portato alla messa a punto di processi di modifica per la pasta di legno, rendendola utilizzabile nella rigenerazione di fibre tessili. Al di là della materia prima utilizzata, sono soprattutto i processi di trasformazione a definire l’impatto ambientale della filiera tessile: l’uso di prodotti chimici difficili da gestire, o l’ingente consumo di acqua dolce. «Per essere rilevanti per il mercato e poter essere scalate industrialmente, le “nuove” fibre devono avere le stesse caratteristiche tecniche delle fibre tradizionali. Un esempio interessante sono i processi sviluppati da Nike per la manifattura additiva nel tessile: dapprima applicati nella calzatura, con la tecnologia Flyknit, e ora anche all’apparel con la Nike Forward Platform, puntano a ridurre l’impatto in maniera complessiva, tagliando passaggi produttivi, eliminando gli sprechi di materia prima e in ultima analisi abbattendo le emissioni» aggiunge Pellizzari. «I grandi brand del lusso, a partire dal Gruppo Kering, sono già impegnati a fare della sostenibilità il primo driver dell’innovazione, supportando la ricerca, sponsorizzando start-up, partecipando ai tavoli collettivi per dare alla moda nuove regole. Il rischio è di eccedere nella comunicazione sui materiali cosiddetti “green”, generando confusione nel consumatore su cosa sia effettivamente efficace. Il greenwashing, purtroppo è ancora molto forte».
Per quel che riguarda i processi di stampa, i tessuti in fibre sintetiche bio-based non presentano limitazioni tecniche rispetto a quelle tradizionali. Anzi, in alcuni casi è addirittura possibile migliorare le performance. «Ad esempio la fibra sviluppata nell’ambito del progetto GRETE facilita l’assorbimento di colorante permettendo di ridurre il consumo idrico nei processi di finissaggio. Esistono delle interessanti pellicole a trasferimento termico prodotte utilizzando inchiostri derivati da colori estratti naturalmente dagli alimenti. Si tratta di inchiostri base acqua costituiti dal 18% da cioccolato e dal 15% da estratto di fragola, ma anche con colori derivati dal tè matcha. Sono supporti conformi alle certificazioni OEKOTEX e REACH e possono essere applicati a diversi tessuti naturali e sintetici, nonché a pelle e velluto, attualmente presenti nel database Material ConneXion, di cui siamo partner in Europa».
Tra le start-up che hanno ricevuto diverse manifestazioni d’interesse nel settore della moda, portando allo sviluppo di diverse capsule collection, Pellizzari cita Infinited Fiber, con la fibra Infinna™, e Spinnova, che propone un processo a suo dire ancora più sostenibile. La prima è una fibra cellulosica realizzata attraverso un processo a base di liquidi ionici, già testata da diversi brand, come ad esempio Tommy Hilfiger che l’estate scorsa ha lanciato una collezione di magliette. Spinnova invece ha realizzato una capsule con Adidas, in cui la fibra viene utilizzata in blend con cotone per realizzare il filato usato in una linea di hoodies.

Che cosa significa, oggi, “sostenibile”?
Il museo del Tessuto di Prato è il più grande centro culturale d’Italia dedicato alla valorizzazione dell’arte e della produzione tessile antica e contemporanea. Al suo interno, nel 2021, è stata inaugurata la Textile Library, un archivio di tessuti, fibre, filati e materiali contemporanei sempre aggiornato e in continua evoluzione. I materiali provengono da aziende leader internazionali di ogni settore, da start-up e da centri di ricerca. Un ruolo di primo piano viene svolto dalle aziende del distretto tessile di Prato: lanifici, aziende di filati e di materie prime, rifinizioni e tintorie sono i principali contributor della Textile Library. In questo modo il museo intende comunicare il rapporto che lo lega fin dalle sue origini al contesto produttivo del territorio valorizzando le capacità innovatrici e il know-how tecnico e stilistico. Particolare attenzione è dedicata alla circular economy e all’innovazione sostenibile. «Quello che emerge dalla raccolta è che esistono effettivamente dei materiali già commercializzati e industrializzati che potrebbero sostituire ampiamente i tessuti tradizionali, apportando benefici all’ambiente, attraverso l’impiego di fibre riciclate o provenienti da fonti rinnovabili» spiega Laura Fiesoli, Textile Expert e curatrice della Textile Library. «Al tempo stesso è chiaro che i materiali tessili sostenibili sono solo un elemento di un modello di business nuovo e circolare che l’industria della moda dovrebbe adottare e che comprende un nuovo utilizzo delle risorse energetiche, della logistica e in gran parte un nuovo modo di intendere i diritti umani e dei lavoratori».
La sostenibilità è un valore che l’azienda produttrice ricerca in tutto il processo di produzione. Se un tessuto naturale è prodotto con un abuso di risorse energetiche o non rispettando i diritti dei lavoratori, allora non si può definire sostenibile. Sostenibilità è un valore che riguarda il prodotto e il processo allo stesso modo. «Le aziende virtuose in Italia sono moltissime, specialmente nel distretto pratese che seguiamo più da vicino. Quello che va superato è senz’altro lo scoglio dell’immissione in un mercato della moda dominato dal fast fashion e quindi da prezzi bassissimi. Purtroppo in generale ancora oggi un prodotto sostenibile ha un costo maggiore e non tutti i brand sono disposti a pagare di più la materia prima sacrificando il proprio margine di profitto».

Tessuti per la moda a partire dagli scarti
Tra le aziende presenti nella Textile Library c’è Vérabuccia®, progetto di economia circolare fondato nel 2020 da Francesca Nori e Fabrizio Moani, grazie al quale la buccia della frutta si trasforma in un nuovo materiale. Grazie al supporto tecnologico di un’azienda chimica del settore italiano dalla visione innovativa, l’idea di utilizzare la “pelle” della frutta, sviluppata da Nori nel corso degli studi accademici, si è concretizzata. Nasce così Ananasse™, il primo prodotto ottenuto dall’ananas per mezzo di un innovativo processo produttivo (brevettato) che conferisce alla buccia le caratteristiche di applicazione e stabilità di un tradizionale pellame senza trasformare o appiattire l’epidermide dell’ananas, mantenendo l’aspetto estetico iniziale dalla superficie scagliosa del vegetale, simile a quella di un rettile, ma acquisendo nuove e performanti caratteristiche di applicazione.
Ananasse™ viene prodotto in fogli di dimensioni ridotte ma gestibili e quindi variabili in relazione all’impiego finale. A monte delle fasi di asciugatura, rifilatura e pressatura il materiale viene sottoposto a un ulteriore passaggio finale (attualmente manuale) sulla texture, nel caso di variante senza brattee (cioè le naturali alette presenti in superficie) dando vita a un’ulteriore proposta estetica, che non pregiudica né la struttura o il tipo di applicazione. La colorazione come le diverse lavorazioni attuabili sulla superficie (foratura, laseratura, fustellatura o incisioni) permettono di diversificare ulteriormente l’aspetto originario e di originare innovativi e diversificati effetti cromatici e di texture.
«La sostenibilità è il presupposto necessario per un progetto duraturo per l’essere umano e il suo habitat, raggiungibile solo attraverso l’investimento costante in ricerca e sviluppo, al fine di ottenere risposte e proporre azioni migliori a metodi e modelli di business attuali. Non crediamo che le nuove tipologie materiche rappresentino un fattore critico limitante per le operazioni di stampa se pensiamo, ad esempio, al processo della stampa 3D industriale, implementato da matrici proprio a base biologica rinforzate con fibre naturali, ma la tendenza estetica che emerge negli ultimi anni è sicuramente più rivolta a lasciare i materiali il più “naturale” possibile» spiega Nori.
Vérabuccia® si rivolge a un mercato composto, attualmente, principalmente da brand del settore della moda e del design appartenenti a una fascia alta, quella del luxury, più consapevoli o in fase di transizione, spesso anche con background importante legato al pellame animale, ma che vogliono tanto affermare il loro impegno verso il pianeta e le sue specie quanto contraddistinguersi nell’utilizzo della materia prima impiegata senza rinunciare al piacere estetico e tattile, grazie all’uso di innovativi materiali a base biologica. A seguito di importanti feedback ricevuti nel 2022 con l’inizio della distribuzione del campionario e realizzazione dei primi prototipi, a gennaio 2023 vengono intrapresi in Italia importanti processi di upgrading materici volti ad ampliare la richiesta d’uso e di applicazione del materiale.
«Il nostro team si avvale di figure esterne complementari, con competenze decennali per la gestione degli ambiti non di specifica competenza ed è costantemente a lavoro per cercare di apportare se pur in piccolo ad oggi, il proprio valore aggiunto, continuando ad ottimizzare la tecnologia brevettata attraverso la ricerca e lo sviluppo anche grazie a continuative sinergie con esperti del settore e parallelamente impegnandosi a livello sociale” aggiunge Nori. Tra i numerosi riconoscimenti ricevuti, la più recente è l’esposizione in occasione della cerimonia dei Wemed Mediterranean Sustainability Award 2022, svoltasi al San Pau Recinte Modernista di Barcellona. Sempre a novembre, Vérabuccia® è entrata a far parte dell’Italian Circular Economy Stakeholder Platform (ICESP). “L’obiettivo futuro è favorire la creazione di simbiosi industriali per riuscire ad entrare nell’economia circolare attuale e introdurre attivamente Vérabuccia® nei settori della moda e del design».

Le ecofibre si possono stampare in digitale?
Creazioni Digitali ha iniziato a occuparsi di stampa sostenibile nel 2016 cominciando a progettare l’inserimento nella propria offerta produttiva della stampa tessile digitale a pigmento, ovvero una stampa digitale diretta a base acqua su tessuto multi-fibra (GreenDrop). Fino ad allora, ma ancora oggi, la tecnologia più utilizzata è stata quella a sublimazione, che pur non utilizzando acqua permette solo la stampa di tessuti mono fibra. Nel 2021 la partnership con l’israeliana Kornit Digital ha portato alla creazione di un Centro Sperimentale (CreŌ - Creation Opportunity) che permette, oltre alla normale produzione, di sperimentare nuovi sviluppi e di offrire anche a piccole start-up innovative di stampare i propri prodotti in piccole quantità. Le macchine Kornit Digital garantiscono un risparmio d’acqua pari a 4995 lt x 1000 m, che richiede poi un trattamento per la sua purificazione. «Fino a qualche anno fa il problema dell’impatto ambientale dell’industria tessile non era particolarmente sentito, tanto che alle nostre proposte rispondevano con un interesse di facciata, ma non operativo. Dal 2020 invece la corsa al “green” è esplosa e non sempre con intenzioni coerenti» spiega Roberto Lucini, fondatore di Creazioni Digitali. «I brand si stanno allineando e soprattutto chiedono con sempre maggiore insistenza alla propria filiera questo aggiornamento. Dal nostro punto di vista, per efficacia quantitativa, l’impegno è soprattutto quello di offrire una stampa digitale sostenibile nella produzione classica dei tessuti. Ovviamente la sperimentazione riguarda anche tessuti con alto grado di sostenibilità».

 


21/07/2023


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