Materiali e Printability

Denim on demand

Innovazione tecnologica e di processo, che riduce l’impatto ambientale della sua produzione, anche attraverso l’utilizzo di materiali rigenerati, e apre il campo alla personalizzazione. L’industria del denim si evolve e i brand, anche quelli del lusso, non si lasciano sfuggire l’occasione di rinnovare la propria offerta con questo tessuto che si può fregiare del titolo di “instant classic”.

Di Caterina Pucci | Su PRINTlovers 96

Forse non ve lo eravate mai chiesti prima, ma la parola denim viene dal francese, per l’esattezza dall’espressione “serge de Nîmes”, che letteralmente significa tessuto di Nîmes. Nel Seicento, in questa cittadina del sud soprannominata “la Roma di Francia”, i fabbricanti di stoffe avevano cominciato a realizzare un tessuto resistente, ricavato dalle fibre di cotone. Essendo molto economico da produrre, il denim cominciò a essere utilizzato per confezionare indumenti da lavoro. Per tingerlo si preferiva un pigmento altrettanto economico, l’indaco, poco utilizzato per la tintura dei capi pregiati per la sua tendenza a scaricare velocemente il colore. Qualche secolo più tardi, proprio la durezza e l’effetto “scolorito” sarebbero diventati i tratti distintivi di uno dei capi d’abbigliamento più iconici di sempre: il blue jeans.

Anche grazie alle celebrità del cinema e della musica, il denim si è fatto strada nella nostra vita quotidiana, riuscendo a mantenere intatta la sua doppia anima: quella che lo vuole tessuto povero, comodo, adatto alla vita frenetica di tutti i giorni, e quella che lo ha innalzato a caposaldo di tendenza e glamour. “Fare un jeans” utilizzando tecniche tradizionali, però, è un processo molto impattante, che assorbe circa il 35% della produzione mondiale di cotone, e implica un impiego massiccio di acqua, coloranti, pesticidi e prodotti chimici. Nella fase di rifinitura l’utilizzo di tecniche come la sabbiatura, necessaria per ottenere quell’effetto sbiancato che dà un senso di vissuto al capo, pone inoltre una questione etica relativa alla salute di coloro che questi tessuti li producono.

Nel tentativo di trovare alternative più sostenibili, negli ultimi anni, i brand hanno cominciato a prestare sempre maggiore attenzione al digital textile printing. I miglioramenti ottenuti dalle soluzioni di stampa e finishing digitale di ultima generazione stanno portando alla progressiva adozione di queste ultime anche nell’industria del denim. Oltre alla riduzione dei consumi, tra le motivazioni c’è anche la possibilità di acquisire una nuova espressione estetica e soddisfare la richiesta di un pubblico che cerca prodotti sempre più personalizzati e su misura.

Abbattere i consumi con la stampa digitale
In termini di consumi, i processi di produzione tradizionale dei jeans sono considerati tra i più invasivi all’interno dell’industria tessile. Il pigmento indaco, al naturale, non è solubile in acqua perciò per poter aderire al supporto le molecole devono essere trattate con idrosolfito di sodio. Il processo di tintura deve essere ripetuto più volte e il filato ossidato a ogni passaggio, un processo che richiede enormi quantità di acqua. Diversi studi indagano l’integrazione dei parametri che concorrono alla buona riuscita di uno stampato digitale. Nel caso del denim, che è un tessuto in cotone con ordito tinto e trama leggermente grigia, è opinione comune che il processo più funzionale sia quello che impiega inchiostri reattivi o a pigmento.
La pandemia ha accelerato la trasformazione dei modelli di produzione nell’industria del denim. Lo dimostra il cambio di rotta intrapreso da DenimFWD, azienda californiana, che grazie all’innovazione tecnologica sta implementando un processo sostenibile, automatizzato e on-demand all’interno della sua Urban Factory, con sede a Industry, pochi chilometri da Los Angeles. «Una volta che il consumatore ha effettuato l’acquisto, il prodotto viene finito e consegnato il giorno stesso, evitando l’accumulo di scorte da magazzino» racconta Carlos Arias, CEO di DenimFWD «Si tratta di un enorme progresso nell’industria tessile, dove il 20% degli indumenti prodotti non viene mai utilizzato e finisce in discarica o incenerito».
Per riuscirci, DenimFWD ha scelto come partner tecnologici Jeanologia e Kornit Digital, fornitore di soluzioni di stampa digitale. Tra le soluzioni di stampa presenti all’interno dell’Urban Factory, c’è Kornit Atlas MAX e il nuovo sistema Kornit Presto MAX, in grado di stampare bianco su tessuti scuri, incluso il denim. Grazie a queste innovazioni, DenimFWD riesce oggi a produrre fino a 5.000 jeans e 4.000 t-shirt al giorno in modo sostenibile ed efficiente.

Nuove fibre circolari per capi su misura
La moda quindi ha preso un capo robusto, povero e dimesso, e l’ha declinato in infinite versioni, spaziando dal finto-sciatto allo chic e coniugando i concetti di comodità e tendenza. Nel corso dei decenni abbiamo assistito all’alternarsi di linee minimali, capi abbondanti e informi, tele scure e intatte, jeans squarciati e decolorati. È di qualche mese fa la notizia che Chanel sia intenzionata a investire nel settore del denim per la prima volta nella storia del marchio. Il brand avrebbe messo gli occhi su FashionArt SpA, azienda italiana specializzata nella produzione di jeans e capi in denim di alta gamma. Sempre di qualche mese fa è il lancio della limited edition Dim Mak x Candiani EC-01, una collaborazione nata dall’amicizia pluriennale tra Steve Aoki, produttore musicale e dj, e Alberto Candiani, presidente di Candiani Denim. L’azienda, nata nel 1938 a Robecchetto con Induno, a pochi chilometri da Milano, come tessitura di abiti da lavoro, oggi conta 100 milioni di fatturato con una produzione che si estende su 200 mila metri quadri nel Parco del Ticino con due stabilimenti e due laboratori di ricerca, di cui uno a Los Angeles. Candiani si è fatta portavoce di un approccio «circolare» e consapevole nel mondo della moda, una delle industrie più energivore, culminato nel lancio di Coreva, una tecnologia che utilizza filato vegetale, ricavato dalla gomma naturale, in sostituzione dei filati sintetici, senza compromettere qualità, elasticità e durabilità del jeans. Un capitolo importante della storia del marchio è l’ingresso nel mercato B2B, con l’apertura del primo negozio italiano di jeans su misura nel centro storico di Milano. Al suo interno vengono venduti tutti i marchi con cui l’azienda collabora e i capi realizzati con Coreva (che attualmente rappresenta il 5% della produzione totale). Ma il fiore all’occhiello è la micro factory in cui le maestranze realizzano capi personalizzati, in cui è possibile scegliere tessuto, stile, dettagli. Tornando alla collezione con Steve Aoki, i capi sono realizzati con Re-Gen, un tessuto cimosato indaco creato in occasione dell’80° anniversario di Candiani Denim e composto al 50% dagli scarti industriali dell’azienda e al 50% dalle fibre TENCEL x REFIBRA prodotte da Lenzing, che combinano diversi materiali riciclati, come il cotone e il legno. Nel 2019, Re-Gen ha vinto l’Itma Sustainable Innovation Award, il più prestigioso premio del settore tessile. ITMA è infatti la più grande fiera al mondo per la tecnologia tessile dell’abbigliamento. Si tiene ogni quattro anni dal 1951 ed è itinerante, infatti l’edizione 2023 avrà luogo a Milano. Per tingere il filato, sono state utilizzate le tecnologie innovative a risparmio idrico di Candiani Denim Indigo Juice e Kitotex, indicate per esaltare i trattamenti laser che donano ai capi un particolare effetto vintage e una grafica personalizzata. Queste innovazioni permettono di risparmiare acqua, sostanze chimiche ed energia senza compromettere l’estetica, la qualità e la durata dei prodotti finiti.

Tutto è bene quel che finisce in laser
Da anni il laser è utilizzato per accorciare la filiera di lavorazione del tessuto denim, supplendo all’utilizzo di tecniche invasive, pericolose per la salute degli operatori e nocive per l’ambiente come sabbiatura, decolorazione chimica, fresatura. L’azienda bergamasca SEI ha messo a punto diverse soluzioni di finitura in grado di ottimizzare le lavorazioni sul jeans utilizzando questa tecnologia. «Sotto il profilo industriale e produttivo, i processi che simulano l’usura del denim sono particolarmente complessi da gestire» spiega Ivan Romano, Textile International Sales di SEI. «Il processo industriale tradizionale prevede il susseguirsi di fasi meccaniche e chimico-fisiche, abrasioni manuali o a macchina, il famose stone-washing con pietra pomice, con impiego di sostanze schiarenti, tipicamente cloro e permanganato di potassio, entrambe altamente tossiche. A ciò si aggiunge un impiego spropositato di acqua».
In alternativa, la tecnologia laser può essere utilizzata per disegnare, marcare, incidere, tagliare e strappare il tessuto denim per conferire a un paio di jeans un aspetto sbiadito e consumato o un design elegante senza l’uso di metodi convenzionali aggressivi. «Tramite il laser la decolorazione dei jeans avviene rapidamente e offre molteplici effetti che prima erano appannaggio esclusivo delle tecniche di lavaggio. Il trattamento laser utilizza la luce e il calore per bruciare parzialmente i pigmenti colorati, creando risultati estetici che possono essere pianificati in anticipo e replicati da capo a capo» aggiunge Romano. «Un altro vantaggio del laser è che non danneggia le fibre fragili come il denim elasticizzato; tali fibre possono essere intaccate dall’uso della spazzolatura manuale o della carteggiatura». La precisione di questa tecnica può produrre effetti di lavaggio ultra elaborati, conferendo una finitura consumata, garantendo una qualità costante, più difficile e dispendiosa da ottenere con un processo di lavaggio manuale. «Inoltre, la replicabilità dell’effetto consente di rispettare il design studiato dall’azienda, esalta il gusto e l’impronta del marchio, appaga la vena artistica dello stilista e allo stesso tempo favorisce l’ottimizzazione delle risorse in fabbrica». Le finiture laser si collocano notoriamente al termine del processo di confezione del capo, poco prima o subito dopo il trattamento di rimozione della patina collosa a base amidacea, detta bozzima, che viene spalmata sul filo per proteggerlo durante la tessitura.
I laser attualmente adottati operano sul capo cucito, che viene adagiato su una superficie piana e sottoposto al processo, coi pantaloni esposti in quarti o dispiegati in metà, anteriore e posteriore. In alcuni casi si preferisce invece calzare i jeans su un manichino gonfiabile e rotante in modo da permettere la marcatura con precisione superiore e continuità maggiore tra fronte e retro. SEI, da anni, è presente sul mercato con la serie FLEXI Denim, che opera in questa maniera convenzionale. Recentemente ha compiuto un passo rivoluzionario con il progetto MATRIX Denim che permette di realizzare gli effetti di finitura direttamente sul rotolo di tessuto. Due teste galvanometriche decolorano l’intera superficie delle sagome che compongono il modello e ne tagliano i contorni. Si sommano, nella stessa soluzione, le prestazioni di una velocissima macchina da taglio automatico e quelle di un’apparecchiatura laser.
Il principale vantaggio di questo trattamento è che permette di raggiungere aree che nella metodologia laser “tradizionale” non possono essere raggiunte, come ad esempio la parte interna delle tasche posteriori e anteriori, normalmente ritoccate a mano dagli operatori con la carta abrasiva. Gli effetti laser possono operare anche sui bordi di cucitura, specie quando si vogliono applicare rotture o sfilacciature controllate: di regola il laser non viene proiettato in quelle zone per timore di bruciare il filo di cucitura (se il filo brucia, il capo deve ripercorrere alcune fasi di ritocco, con aggravio di costi, ritardo nella consegna, possibilità di rigetto da parte del controllo qualità).
In precedenza alcuni effetti particolari, come lo stone-wash sulle ribattiture, erano una prerogativa esclusiva delle tecniche di lavaggio, ora possono essere predeterminate sia per posizionamento che per intensità, con la certezza di ripetibilità, senza errori. A ciò si aggiunge anche la funzione taglio con cui le sagome sono marcate e decorate, pronte per essere mandate al cucito, col vantaggio di poter identificare i pezzi che compongono il medesimo capo, grazie all’incisione laser, sui margini di cucitura, di tutte le informazioni pregnanti, normalmente stampate su un’etichetta, poi applicata manualmente su ogni sagoma; un vantaggio notevole in termini di ottimizzazione delle risorse e accesso a procedure error-free. «È come se, in una macchina di ridotte dimensioni, sommassimo una linea di taglio e stesura del tessuto, notoriamente molto più ingombrante, a una piccola “lavanderia” industriale, dato che parecchi effetti si possono ottenere direttamente col laser». Tra gli scenari innovativi che l’uso della tecnologia MATRIX potrebbe apportare c’è sicuramente la possibilità di soddisfare le esigenze di time-to-market. La lavorazione su rotolo apre inoltre infinite opportunità nel campo della personalizzazione e della produzione su misura. Il flusso continuo di tessuto dentro la macchina consente di ottenere, in rapida successione, capi molto diversi l’uno dall’altro per modello, finitura, effetti e personalizzazioni. Un’innovazione che apre la strada alla possibilità di creare e vendere modelli su misura attraverso piattaforme web, stimolando il mercato online, che ha avuto in anni recenti una crescita esponenziale.

Verso una produzione made to measure
Tra le aziende che stanno provando a rivoluzionare la progettazione e realizzazione di finiture dei jeans grazie alla tecnologia laser, c’è anche l’iconica Levi Strauss & Co. che si prepara a un’importante svolta tecnologica e produttiva, grazie alla tecnologia Project F.L.X. (Future-Led-Execution). Fino a ora, per realizzare elementi sbiaditi e pieghe sui capi, l’azienda si era affidata a tecniche manuali che richiedono un’alta intensità di lavoro, sviluppata su una ventina di passaggi. Grazie al nuovo processo basato su tecnologia laser, Levi’s ha potuto ridurre quegli ‘step’ a 3. Laddove prima si costituiva un inventario di jeans per le finiture, ora LS&Co. fotografa un capo e lo disegna in un modo che il laser possa interpretare, per un’applicazione che avviene nel giro di 90 secondi. Questo consente un risparmio notevole in termini di tempi di realizzazione delle finiture sui jeans, ma costituisce un passaggio importante anche nella digitalizzazione del design di quelle finiture. I file possono essere ad esempio inviati ai rivenditori e adattati rapidamente a una produzione di massa.
Innovazione tecnologica e sostenibilità vanno a braccetto nel percorso di innovazione del denim e sostengono un cambio di rotta che abbraccia il modello di produzione “made to measure”. Si evince anche dalle dichiarazioni recenti del CEO di Levi Strauss, chip Bergh, che ha pronosticato come tra dieci anni il modello tradizionale di suddivisione in taglie scomparirà, anche grazie all’utilizzo di scanner per il corpo e fotocamere che permettano alla clientela di acquistare capi in grado di adattarsi perfettamente alla propria corporatura. Sulla stessa onda viaggia il programma sperimentale di H&M group, portato avanti dal denim & fashion brand Weekday in collaborazione con l’innovation hub di H&M, The Laboratory, che stanno implementando una tecnologia per creare jeans customizzati al di là dei tradizionali size set.

 


21/04/2023


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