Creare un cliché è un’operazione complessa, quasi "artistica", che richiede esperienza, abilità, cura dei dettagli. Se fornire indicazioni chiare su come si immagina il lavoro finito è importante, ancora di più è conoscere le tecnologie, le prestazioni dei materiali, la sequenza di operazioni che la preparazione richiede. Come dire che quanto più elevato è il know-how tecnico del designer, più è alta la qualità dei risultati.
Di Lorenzo Capitani | Su PRINT 73
Ampiamente usati in diversi tipi di lavorazione, i cliché sono tra le nobilitazioni più usate e di maggior effetto su stampati e packaging: l’embossing (ovvero l’immagine in rilievo, o sbalzo), il debossing (il suo opposto, cioè l’impressione) e la più diffusa stampa a caldo. Tutte queste tecniche, e in particolare le prime due, lavorano sul supporto deformandone il materiale o le fibre, nel caso della carta, e dando una nuova forma con un’azione combinata di pressione e calore. Per l’embossing e il debossing serve un doppio cliché, maschio e femmina, o contromatrice (di solito polimerica), mentre nella stampa a caldo basta una matrice positiva. In tutti i casi, è fondamentale usare il cliché più corretto per la resa finale, ovvero per ottenere un lavoro di qualità: senza sbavature, distacchi di nastro, opacizzazioni o strappi della carta. Ecco allora qualche consiglio per ottenere il meglio dalla stampa con cliché.
PUNTO DI PARTENZA, IL FILE
Tutto inizia dal file. In genere, si lavora con file vettoriali in cui il tratto è netto e senza mezze tinte. Il grafismo deve possibilmente riprodurre soggetti chiari, font ben delineati con contrasti netti, senza sfumature; le texture o i dettagli sottili possono creare problemi soprattutto se si usano carte molto grammate. Nel caso di sbalzi la tridimensionalità è data dalla variazione della planarità del supporto, le sfumature non sono riproducibili a meno di un’incisione cosiddetta artistica o multilivello e le trame troppo fitte possono stressare il supporto fino a romperlo.
Nel caso del caldo, invece, se occorre una sfumatura non realizzabile con le matrici bisogna ricorrere al cold foil stampato in offset che riproduce le mezze tinte come l’inchiostro offset. Insomma, è sempre meglio consultare sempre il fornitore di cliché. È utile fornire file con i livelli aperti, dove ogni livello indica un’altezza dello sbalzo o un’area che deve essere impressa; può essere utile anche usare differenti colori per i diversi livelli per rendere più chiaro l’effetto che si sta ricercando. I file vettoriali in Illustrator, indipendenti dalla risoluzione, sono l’ideale per rappresentare disegni e offrono la possibilità di essere eventualmente modificati agevolmente. Qualunque materiale che renda l’idea di come si immagina il lavoro finito, può essere utile per chi preparerà il cliché che deve in qualche modo “dedurre” il soggetto dai file forniti. E non dimentichiamo un campione del supporto. Creare un cliché non lo si fa “schiacciando un bottone”, ma è una vera operazione artistica.
CONOSCERE I MATERIALI
I cliché possono essere fatti di diversi materiali, con costi e rese diverse, ed essere realizzati con varie tecniche di incisione, chimiche o meccaniche. La scelta dipende da diversi fattori: dalla tiratura (il magnesio ad esempio, è un materiale morbido e tende a consumarsi), dal disegno che si vuole rappresentare (l’ottone aiuta la resa dei grafismi fini, perché più duro), dal tipo di macchina utilizzata, dal livello qualitativo richiesto…
È sempre bene dare indicazioni su come si realizzerà la stampa perché questo darà modo all’operatore di calcolare la dilatazione che lo stampo andrà a subire in fase di stampa, dovuta alle elevate temperature che si raggiungono durante la lavorazione, e apportare le necessarie correzioni. Nel caso di cliché cilindrici questa informazione è indispensabile. Altrettanto importante è indicare la grammatura e tipologia di carta che verrà usata. Per quanto riguarda i materiali, di solito si usano per le basse tirature cliché in magnesio/rame, che offrono una buona resistenza all’usura a prezzi contenuti, mentre per le tirature medio-alte, o per lavori più complessi o di pregio, è meglio usare l’ottone, che ha ottima resistenza all’usura, anche se più costosi.
CON QUALI TECNICHE SI INCIDONO
I cliché più diffusi, quelli in magnesio sono fotoincisi chimicamente, un po’ come le lastre da stampa o le matrici da serigrafia. In pratica, attraverso una serie di procedimenti chimici con sostanze sensibili alla luce, si ottiene sulla superficie il disegno tridimensionale. Similmente avviene la lavorazione dei cliché in rame, un metallo leggermente più costoso ma anche più duro e performante del magnesio, e dei cliché in polimeri come il nylon. Il magnesio può anche essere microinciso meccanicamente per ottenere la riproduzione di grafismi fini, persino di ologrammi realizzati con retini particolari che hanno sorprendenti effetti di rifrazione, molto usati in abbinamento con la stampa a caldo per esempio nel campo dell’antifalsificazione. L’ottone è inciso meccanicamente, grazie a macchine a controllo numerico. La lavorazione meccanica consente anche la produzione di cliché multilivello veramente tridimensionali oppure di quelli utilizzati per ottenere in un unico passaggio rilievo e stampa a caldo, tecnica che offre grande vantaggio in termini di costi, tempi di esecuzione e qualità del lavoro (viene praticamente eliminato il problema del fuori registro). L’ottone è usato nello sbalzo artistico.
PIANI O CILINDRICI: QUALE TIPO?
Abbiamo finora fatto riferimento a cliché piani, ma ne esistono anche di cilindrici, usati soprattutto per creare tramature continue. Molto usati nel settore del packaging di moda, cosmesi o agroalimentare di alta fascia e per tirature molto alte, crea trame che possono essere applicate su supporti più diversi, compresi quelli plastificati, verniciati, serigrafati, laminati, metallizzati soprattutto per scatole, astucci e shopping bag del settore lusso. Il più delle volte si tratta di lavorazioni intermedie per ottenere goffrature del supporto estremamente customizzate sulle quali effettuare le nobilitazioni finali. Lo scopo è esaltare le decorazioni del packaging: più il supporto è lucido e riflettente, più l’impatto visivo finale sarà d’effetto perché opacizza la luce. In questo tipo di impressione però, va posta grande attenzione al registro tra i due cilindri, la matrice e la contromatrice per ottenere trame nette e continue.
LA SEQUENZA DI LAVORAZIONI
Uno degli effetti più spettacolari è senza dubbio la tridimensionalità ottenibile in una sola lavorazione con stampi multilivello che consentono di abbinare embossing e debossing; l’importante in questo tipo di processo è che il supporto aderisca completamente allo stampo, senza creare sacche vuote, con una pressione omogenea e decisa. Un altro classico abbinamento è quello dell’impressione con la stampa a caldo, in un unico passaggio. Il mercato offre un’ampia varietà di nastri, con una scelta che va ben oltre ori e argenti, spaziando da tutti i colori metallici fino a quelli pastello, ai perlati, ai testurizzati ecc. Se possibile è meglio applicarli su un supporto liscio e non eccessivamente inchiostrato o verniciato, per facilitare l’adesione del nastro e scongiurare il pericolo di distacco o di formazione di bolle.
Al bando vernici e inchiostri senza cera, teflon o silicone e in ogni caso richiedere sempre dei test preliminare se si è scelto di utilizzare rifiniture particolari come le vernici UV. Per sicurezza è buona norma aumentare l’aggrappo con il trattamento Corona dei fogli. Tutta la filiera di produzione deve conoscere tutte le lavorazioni che dovranno essere fatte e quali materiali saranno usati: si potranno decidere così al meglio la corretta sequenza e le materie prime, inchiostri compresi. E se si usano più nastri sovrapposti, ricordarsi di fornire sempre tutti i file relativi a ciascuno nonché l’ordine della sequenza con cui devono essere stampati.
I SUPPORTI, LA SCELTA DEGLI ABBINAMENTI
La scelta del supporto per la stampa dipende da molteplici fattori; nel campo della stampa a caldo e dello sbalzo, però, va fatta una considerazione più attenta; il fattore economico, per esempio, andrà considerato meno di quello qualitativo, perché altrimenti si rischia di rovinare il lavoro. L’importante è che la carta prescelta sia in grado di supportare un processo così stressante: non per niente spesso le cartiere offrono carte appositamente progettate per questi usi, più pesanti, con fibre più lunghe, non patinate, resistenti al calore (carte normali con le temperature usate durante la stampa a caldo o lo sbalzo possono “bruciare”, cambiare colore o arricciarsi). La carta riciclata non si presta molto poiché le sue fibre sono molto compresse, e richiederebbe una pressione elevata (oppure, alle pressioni usate con le carte vergini, si ottiene un effetto poco definito). Inoltre, la carta riciclata è abrasiva e tende a pelare i cliché consumandoli, con evidenti costi aggiuntivi o comunque perdita di qualità del lavoro sulle tirature alte. Ma la carta in generale è un alleato e non un limite. Ma, attenzione a scegliere gli abbinamenti: carte molto scure, sulle quali l’effetto tridimensionale risulta ovviamente meno evidente, con nastri per la stampa a caldo chiari, argento compreso, potrebbero non risultare perfettamente coprenti.