Dal cibo all’abbigliamento, dalle calzature all’automotive, dai viaggi alla cosmesi agli scaffali dei supermercati il veganesimo è ormai una diffusa filosofia di vita. Ecco perché il vegan-style si è affermato come una nuova tendenza del design.
Di Lorenzo Capitani | Su PRINT 70
D’altra parte, vegetariani e vegani rappresentano nel mondo una nicchia di consumatori importante. In Italia, secondo il Rapporto Eurispes Italia 2016, sono oltre 4 milioni e mezzo. E tutti molto attenti ai loro acquisti. Anche nel mondo della stampa si comincia a discutere di vegan printing, di packaging crueltyfree, di materiali e di colle prive di caseina (proteina del latte), di inchiostri con pigmenti a base vegetale, di lavorazioni e processi certificati. Ma siamo soltanto all’inizio di una sensibilità che forse si farà strada. Nel frattempo noi di Print facciamo il punto sui comportamenti e le esperienze virtuose.
3% La percentuale di vegani in Italia
7,6% Chi segue una dieta vegetariana o vegana in Italia
– 5,8% Il calo del consumo di carni rosse e suine in Italia
+ 37% L'aumento del consumo di zuppe di verdure
Triplicate in un anno. Sono le persone che in Italia, secondo il Rapporto Eurispes 2017, si dichiarano vegane. Nel 2016 erano poco meno dell’1% e adesso sono il 3%. Un dato confermato anche dal rapporto Vegan Italia 2017 svolto dall’osservatorio Veganok. Si tratta di circa un milione e ottocentomila persone. Secondo il rapporto annuale Eurispes il 7,6% del campione intervistato segue una dieta vegetariana o vegana. In particolare, il 4,6% degli intervistati si dichiara vegetariano (-2,5% rispetto al 2016) mentre i vegani giungono appunto al 3%. I numeri sono confermati anche dalla crescita delle vendite legate al settore ‘no meat’. Nei primi 10 mesi del 2016, rispetto allo stesso periodo del 2015, si è registrato un calo dei consumi rispettivamente del 5,8% per le carni rosse e suine, del 5,3% per i salumi e del 3,2% sui prodotti caseari. A questi cali corrispondono interessanti aumenti dei prodotti cosiddetti vegan: latti vegetali (+19%), zuppe (+37%), piatti pronti, condimenti, salse e sostituti dei secondi piatti (+27,1%).
In Italia 1.800.000 vegani
Questi numeri descrivono chiaramente un fenomeno con il quale, piaccia o no, è necessario fare i conti. Letteralmente. Ma cosa significa essere vegano? Stando alla definizione data nel 1979 dalla Vegan Society, “seguire un modo di vivere che esclude, nei limiti del possibile e del praticabile, ogni forma di sfruttamento e crudeltà verso animali, per scopo alimentare, per il vestiario, come per qualunque altro scopo e, per estensione, promuove lo sviluppo e l'uso di alternative che non prevedono l'utilizzo di animali”. Non si tratta dunque, come per i vegetariani, di non mangiare la carne di animali che vivono in mare o sulla terra, ma di rifiutare tutti i cibi di origine animale, compresi i loro derivati. Questo perché l’obiettivo è non solo quello di non uccidere gli animali, ma anche di non farli soffrire sfruttandoli per le nostre esigenze alimentari. Quindi niente uova, formaggio o miele. Di più, come i vegetariani anche i vegani evitano anche di usare prodotti cosmetici o capi d’abbigliamento che contengono ingredienti animali o che siano stati testati su di loro. I vegani non usano nemmeno la seta, i piumini d’oca o la lana. Ed è un fenomeno trasversale che coinvolge tanto gli uomini (5,3%) quanto le donne (7,5%). Ma soprattutto non è una moda del momento (il fenomeno esiste fin dal 1944 quando dalla Vegetarian Society americana si staccò la costola dei “vegetariani non consumatori di latticini”) ma, come spiega Leonardo Pinelli, docente di Pediatria all’Università di Verona, “di una presa di coscienza. Molte persone decidono di abbandonare il consumo di alimenti animali per ragioni etiche, salutistiche e ambientali”. Complici, aggiungiamo noi, gli appelli di numerosi oncologi a rinunciare alla carne e i numerosi scandali che hanno coinvolto bestiame e allevamenti, bovini e aviari.
Nella GDO tanti marchi Vegan
Chi fa una scelta così radicale persegue il proprio obiettivo con decisione, non ammette deroghe e non fa sconti. Se ne è accorta per prima la GDO. La Coop ha esteso il marchio bio ViviVerde nato nel 2013 a tutta una serie di alimenti proteici a base vegetale che non contengono proteine animali “dedicata a chi cerca alternative per una sana alimentazione priva di carne”. Ma c’è anche Pam con Veg&Veg e Despar con Veggie. Mentre Esselunga, che non ha una propria linea dedicata, nei suoi punti vendita ha esteso esponenzialmente il numero dei prodotti Vegan Ok: si tratta della prima certificazione etica cruelty free nata in Italia che copre settori merceologici che vanno dall’alimentazione all’abbigliamento, dalla cosmesi e igiene agli integratori, dall’arredamento ai prodotti per gli animali, fino all’editoria.
Scelte vegane anche nella stampa
Come si vede il fenomeno non ha solo dei risvolti culturali, ma anche forti implicazioni economiche che impattano tutti i mercati, compreso quello della stampa, delle etichette e del packaging. Non si tratta più di stampare bio, di materie prime eco-friendly, carte riciclabili, inchiostri per alimenti, vernici acriliche all’acqua e colle vegetali. Ignorarlo significa tagliarsi fuori da aree di business decisamente in crescita.
C’è chi però non è stato a guardare e la scelta vegana la sta perseguendo anche nel mondo della stampa. È il caso dell’agenzia di comunicazione Hamelin di Firenze che, dopo una sperimentazione di un anno, propone ai propri clienti una stampa completamente bio. A partire dalla carta riciclata, ecologica e certificata FSC. Mentre per la stampa hanno selezionato inchiostri Toyo della linea Vegetable Oli Based Ink con pigmenti a base esclusivamente vegetale. Un’altra esperienza decisamente green è quella del portale ecoprintweb.com creato nel 2013 da Grafica KC di Genova che, partendo dall’assunto che ‘Stampare inquina’, ha deciso di rivoluzionare l’intero processo di stampa per limitare al minimo l’impatto ambientale, utilizzando energie rinnovabile, inchiostri a base vegetale, acqua o cera e senza adoperare acidi di sviluppo chimico per la stampa offset. Tutto il ciclo di produzione è interamente controllato e tracciato: perfino i pacchi sono realizzati in carta riciclata, cartone e scotch di carta. Nonostante questi sforzi, essere a zero impatto è impossibile: per questo l’azienda ha un proprio programma di riforestazione, per restituire al pianeta l’ossigeno consumato. Senza rinunciare all’offset, ecoprintweb.com usa lastre termiche Presstek lavate solo con acqua e sapone, mentre per le piccole tirature fatte in digitale usa la stampa a cera o i plotter con inchiostri a pigmento base acqua.
Tante storie virtuose nella stampa
È vero che carta e inchiostri di per sé non contengono sostanze di origine animale e quindi sarebbero rispettose delle idee vegane, ma è altrettanto vero che tutto il ciclo di vita di queste materie prime è ad alto impatto per l’ambiente. Un vero vegano non si accontenta della carta riciclabile, la vorrebbe compostabile. E se l’imballo non è di carta, assolutamente non deve alterare il contenuto ed essere riutilizzabile più e più volte. L’azienda americana PBFY, specializzata in packaging flessibile, ha una linea interamente dedicata al mondo vegano con sacchetti riutilizzabili con chiusure a zip ermetiche o Tin Tie. Ma anche la Minimo Impatto di Roma ha aperto il sito ecostoviglie.com in cui vende prodotti biodegradabili e compostabili o almeno realizzati con materie prime rinnovabili certificate FSC o PEFC, provenienti da filiera forestale controllata o prodotti in materiali riciclabili come amido di mais, canna da zucchero, legno, bambù o corteccia di palma.
Storia virtuosa anche quella del Gruppo Nuceria, azienda leader nel settore del packaging industriale che nel 2016, con un investimento superiore ai 3 milioni di euro finanziato in parte da Regione Lombardia, ha dato vita al progetto “Greenprint” per sviluppare in 24 mesi prodotti innovativi e tecnologie di stampa eco-sostenibili, spingendo all’uso di fibre naturali in canna da zucchero o 100% cotone, inchiostri biodegradabili e supporti in PET totalmente riciclabili. Una scelta apprezzabile che dimostra massima attenzione all'ambiente sia pur senza arrivare ancora a certificazioni specifiche.
Colle e adesivi per etichette
Una sana cartotecnica non passa solo dai materiali, ma anche da colle e adesivi, per legatoria ed etichette: il punto non sono solo i componenti utilizzati, ma anche la loro riciclabilità. Un problema spesso sollevato, infatti, riguarda gli adesivi utilizzati per etichettare gli imballi o per confezionare packaging o stampati in genere, brossure comprese. Riciclare adesivi e colle è antieconomico, ma carta, cartone ed etichetta sono riciclabili e la scelta dell’adesivo deve tenerne conto. Il riciclo della carta avviene con macchinari che in acqua calda la sminuzzano rompendo i legami tra le fibre e trasformando la carta in poltiglia. Gli adesivi idonei al riciclo devono essere formulati in modo da mantenere dimensioni sufficienti per essere rimossi dal primo filtro dell’impianto di riciclo; qualora lo superino sono eliminati, in un secondo momento, attaccandosi alle bolle di aria che salgono in superficie con la schiuma. Gli adesivi non compatibili con il riciclo non solo non sono graditi ai vegani, ma ostruiscono i filtri delle macchine di produzione della carta e comunque macchiano e creano lacerazioni nella carta riciclata. Oggi tutti i produttori di adesivi per etichette propongono linee che migliorano la riciclabilità della carta. Volendo essere rigorosi e realizzare un packaging davvero vegano è necessario evitare l’uso di qualsiasi componente di origine animale. Non può quindi essere utilizzata colla alla caseina (proteina del latte) o qualsiasi tipo di gelatina composta da proteine idrosolubili ottenute dalla lavorazione del collagene derivato da tessuti, pelle e ossa animali. Il problema vero sono i componenti occulti delle materie prime (per esempio il piombo nei cartoni della pizza). È come quando si guarda l’etichetta di un cibo e si scopre la presenza di un ingrediente che non pensavamo potesse in alcun modo esserci (come la papaia nella birra, usata per chiarificarla).
Nel packaging per i prodotti vegani ecologia e assenza di qualsiasi aspetto animale sono strettamente legati; per questo al di là delle materie prime rigorosamente certificate, tracciate e controllate occorre agire sull’ottimizzazione dell’imballo eliminando i cosiddetti over packaging, tutte quelle confezioni inutili che proteggono il prodotto con astucci in cartoncino, come ad esempio i tubetti di dentifricio e di maionese (ovviamente ne esiste una versione vegana senza uova), proponendo nuove forme, valorizzando il tubetto e trasferendo su di esso le informazioni che di solito sono stampate sull’astuccio. Sebbene i consumatori siano sempre più protagonisti, informati e consapevoli, non si può negare che la confezione influisca ancora sia sul posizionamento di un prodotto che sulla sua shelf life.
Affidarsi alle certificazioni
Ma come si fa a essere sicuri che lo stampato che si sta comprando sia davvero a impatto ambientale minimo, se non davvero vegano? Affidandosi alle certificazioni. Chi sceglie di vivere secondo lo stile di vita vegano può avere difficoltà nell’orientarsi nella scelta dei prodotti se non ha conoscenza dei processi di produzione, visto che molti additivi che contengono sostanze di origine animale vengono utilizzati in tutte le aziende produttive. E così la scelta di un prodotto vegano è spesso legata unicamente alla presenza di un marchio di garanzia sul prodotto. Il CCPB ad esempio opera come organismo di certificazione e controllo dei prodotti agroalimentari e “no food” ottenuti nel settore della produzione biologica e in quella eco-compatibile ed eco-sostenibile. Oggi CCPB certifica 11.000 aziende, di cui circa 10.000 nel settore biologico, tra cui affermati gruppi industriali, grande distribuzione, piccole e medie imprese. La certificazione è applicabile per qualsiasi tipo di prodotto a patto che sia ottenuto senza l’utilizzo di qualsiasi materia prima, sostanza o ingrediente di origine animale; non possono essere utilizzati alimenti, ingredienti, coadiuvanti o ausiliari di fabbricazione di origine animale ottenuti con il sacrificio o il maltrattamento degli animali. E questo, in qualsiasi tipo di settore, soprattutto agroalimentare e della ristorazione, cosmesi e detergenza, tessile e abbigliamento.
La certificazione prevede 3 livelli di conformità.
1. La certificazione di prodotto prevede per la realizzazione di un prodotto di non usare componenti di derivazione animale.
2. La certificazione di prodotto & packaging prevede che le garanzie del livello base siano estese anche ai materiali di imballaggio, inclusi i materiali non a contatto con il prodotto.
3. La certificazione di filiera comprende controlli a campione su tutti i siti della filiera, applicabile fino alle aziende agricole produttrici le materie prime vegetali utilizzate per l’ottenimento del prodotto.
Specifici per il mondo della carta e della stampa ci sono poi quattro altre certificazioni che garantiscono i consumatori e certificano materie prime, lavorazioni e filiera. Il marchio FSC® che identifica i prodotti contenenti legno proveniente da foreste gestite in maniera corretta e responsabile secondo rigorosi standard ambientali, sociali ed economici. Soltanto le tipografie certificate FSC possono apporre sugli stampati il logo della certificazione in quanto queste, essendo annualmente controllate dall’Ente Certificatore, garantiscono la Catena di Custodia: ogni lavoro stampato è inserito in un registro che permette la tracciabilità dell’acquisto di carta e di conseguenza di cellulosa e di legname utilizzati. Il certificato Multiutility® garantisce che l’energia utilizzata è 100% energia pulita generata in Italia e nell’arco di 1 anno da sole, acqua, vento e terra. Eco-print© è la certificazione della stampa a basso impatto ambientale, controllata da un terzo Ente Certificatore a garanzia che il sistema di stampa utilizzato sia nel pieno rispetto dell’ambiente (energia, inchiostri, sistemi di stampa, finitura dello stampato e imballaggio). E infine la certificazione ISO 14001:2004 che specifica i requisiti di un sistema aziendale di gestione ambientale.
Al di là della filosofia vegana che spesso diventa difficile da rispettare interamente, una cosa è certa: tutta questa ‘deriva green’, fatta di attenzione all’ambiente, cicli di produzioni sostenibili, cosmetici non testati su animali, fino alle t-shirt vegane o piumini invernali imbottiti di ovatta e non piume, rappresenta una sana presa di coscienza e può solo far bene a noi e al pianeta.