Una buona etichetta è in grado di attirare l’attenzione del consumatore fra decine e centinaia di altre, più o meno simili, esposte sugli scaffali di enoteche e reparti della grande distribuzione organizzata. Una mission sempre più difficile.
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Affermato il principio che la qualità del vino supera di gran lunga per importanza quella della bottiglia, dell’etichetta o della scatola che la contiene, è fondamentale per una cantina operare al meglio per caratterizzare il proprio prodotto e conferirgli un’identità distintiva a beneficio delle vendite. Se infatti possiamo ritenere in crescita la community dei consumatori informati, in grado di distinguere e collocare un produttore, un vitigno, una zona di produzione, è comunque ben più vasta e parimenti in crescita la community dei consumatori male o poco informati.
È proprio per questi ultimi che il packaging, etichetta in primis, svolge una funzione informativa e persuasiva determinante. Compito dell’etichetta è quello di portare a conoscenza del consumatore il valore e il carattere di un vino, del suo territorio, oltre all’immagine del produttore, e quindi il marchio.
Progettare etichette può sembrare semplice ma ad un’analisi approfondita di quante e quali implicazioni ci sono dietro a quella che si può banalmente considerare una scelta meramente estetica, immediatamente ci si rende conto che di banale c’è veramente poco.
Prima della creatività, conoscere le Norme
La nuova classificazione europea dei vini comunitari ha impatto anche sulle regole di etichettatura e presentazione dei vini in commercio: esse sono disciplinate a livello comunitario e, per alcune modalità attuative, a livello nazionale.
Senza dilungarci, giusto per dare esempio dell’attenzione che il tema richiede, in Italia i vini DOP (DOC e DOCG) e IGP (Indicazione Geografica Tipica) devono riportare in etichetta, in caratteri indelebili e chiaramente distinguibili dal testo e dai disegni che le circondano, oltre alla eventuale designazione della categoria di prodotti vitivinicoli, anche la denominazione di origine o l’indicazione geografica seguita, rispettivamente, dall’espressione “Denominazione di origine protetta” o DOP, “Indicazione geografica protetta” o IGP, oppure dalle relative menzioni tradizionali in uso nel Paese; il titolo alcolometrico volumico effettivo; l’indicazione della provenienza; l’indicazione dell’imbottigliatore o, per le categorie dei vini spumanti, l’indicazione del produttore o venditore; l’indicazione del tenore di zucchero, per le categorie dei vini spumanti; la presenza di allergeni; il numero di identificazione e/o lotto; l’annata delle uve e infine l’indicazione della quantità.
Tutto questo in relazione al mercato nazionale e comunitario, ma le regole possono essere ancor più complesse e restrittive per paesi extra UE. Fondamentale conoscerle.
Scegliere bene formato e forma
L'etichetta, per il ruolo che svolge, è ormai comunemente considerata a tutti gli effetti un importante strumento di comunicazione aziendale che, insieme al prezzo, rappresenta una delle leve del marketing. Apparentemente la rigidità normativa citata poc’anzi dovrebbe essere compensata dalla massima elasticità creativa in quanto a formato, forma, colori e scelta del supporto. In realtà non è così.
Una prima fondamentale riflessione, che possiamo tranquillamente considerare una regola generale nella progettazione grafica, va fatta rispetto al target e al posizionamento del vino per cui stiamo progettando. Mercato di destinazione, canale distributivo e posizionamento di prezzo sono informazioni fondamentali per procedere a una corretta impostazione del progetto. Immediatamente dopo è fondamentale conoscere la forma della bottiglia a cui è destinata, la cui scelta non sempre è del tutto libera e volontaria; l’etichetta può risultare equilibrata e in sintonia piuttosto che dimostrarsi totalmente inappropriata. Analogamente dovrebbe essere fatta una riflessione per il coordinamento fra l’etichetta, il tappo e la capsula.
Valutare correttamente i supporti
Anche in questo caso le possibilità sono apparentemente infinite. Carta, di ogni genere e finitura, film plastici, colorati e trasparenti, e dall’avvento delle etichette adesive anche stoffa. La ricerca di cartiere e produttori di supporti si è ormai ampliata a dismisura, in particolare quando si tratta di etichette nobili.
Nel caso dei supporti cartacei, in generale vengono impiegate carte tra 70 e 90 grammi con un’umidità assoluta della carta tra 6-7%. Si prediligono carte con una buona formazione per evitare di vedere la colla in trasparenza.
Dal punto di vista tecnico le carte per etichette presentano caratteristiche di porosità adeguate da favorire l’assorbimento della colla (nel caso di etichette a colla) e nel contempo presentare una collatura adeguata a garantire la resistenza alla macerazione (detto “trattamento anti-spappolo”) quando serve.
Ma oltre all’aspetto estetico esistono altre variabili da considerare nella scelta del supporto? Certamente sì. La modalità di conservazione del vino, i tempi di conservazione a cui è destinato per un consumo corretto, e soprattutto la modalità di fruizione, possono determinare ulteriori e differenti vincoli. Un vino destinato al frigorifero, o ad essere servito in cestello con del ghiaccio, ha precise esigenze dal punto di vista del supporto, come pure li hanno i grandi vini rossi della tradizione italiana, destinati a lunghe conservazioni in cantine ammuffite.
Pensare funzionalmente al format grafico
Almeno per quanto riguarda la creatività “non vorremmo limiti”, potrebbe dire qualcuno. E invece, ancora una
volta, è bene fare delle attente riflessioni. Nonostante un mercato ormai globalizzato – per il vino e per l’Italia in particolare – le scelte estetiche e persino la gestione degli elementi della corporate identity della cantina piuttosto che del brand devono tener conto della cultura del Paese a cui sono destinati.
Senza scadere in banali generalizzazioni, si può scorgere una netta distinzione fra le tendenze italiane e quelle del mercato francese, rispettivamente al primo e secondo posto per esportazioni mondiali. La varietà delle forme, del format grafico e dell’uso dei colori, sia per annate differenti che per le stesse varietà d’annata, tipicamente italiana, non trova corrispettivo in Francia, la cui concezione tendenzialmente molto più tradizionalista, vede reiterare etichette per decenni. La declinazione di un nome di animale o di un’icona che lo rappresenti, per un Paese che attribuisce agli animali significati particolari, come per esempio la Cina, qualche ricerca la impone. La quantità di informazioni di legge previste dal Sistema Paese di riferimento può determinare limiti oggettivi a una grafica minimalista e persino nello sviluppo del layout grafico. La necessità di rappresentare un nome nella sua completezza su di un’unica riga, mantenendo la leggibilità sullo scaffale, potrebbe essere condizionante per un vino che si chiama Montepulciano d’Abruzzo…
Conoscere il sistema d’imbottigliamento
Se è vero che “non bisogna fare i conti senza l’oste”, è altrettanto vero che non si può progettare senza fare i conti con il cantiniere e con l’organizzazione produttiva della cantina. Il sistema di imbottigliamento adottato, con etichetta a colla piuttosto che adesiva, e persino le caratteristiche tecniche della linea di imbottigliamento di cui la cantina dispone, possono determinare dei vincoli alla progettazione. Non ci riferiamo esclusivamente alla disponibilità di supporti per l’uno o per l’altro sistema, quanto piuttosto ad aspetti di natura prettamente tecnico/applicativa dovuti alla dotazione tecnologica e persino alla generazione tecnologica della linea di imbottigliamento di cui è bene avere conoscenza prima di iniziare a progettare e proporre. Tutto questo si traduce in conoscenza ed esperienza.
Orientare il cliente verso un’etichetta in PVC trasparente per una linea di imbottigliamento sprovvista della fotocellula in grado di leggerne il passaggio determinerebbe problemi insormontabili che ben poco hanno a che fare con fattori estetici e di marketing.
Attenzione alla concorrenza
In un paese che conta oltre 500 uve autoctone – il patrimonio viticolo più importante al mondo – e oltre trecentomila aziende vitivinicole, l’originalità ha un prezzo elevato. Però è necessaria, come conferma un recente sondaggio congiunto fra winenews.it (uno dei siti più cliccati dalla community degli appassionati) e Vinitaly su un campione rappresentativo di consumatori abituali, quasi 1.200 seguaci di Bacco che acquistano almeno tre bottiglie alla settimana per una spesa media che si aggira fa i 20 e i 30 euro: di fronte allo scaffale, l’efficacia comunicativa dell’etichetta conta in media al 30% nell’acquisto di un vino, dicono gli “enonauti”, e le informazioni che riporta influiscono nella scelta del 73% degli eno-appassionati, a fronte di un 27% guidato
da altri elementi. La prima cosa che guardano nell’etichetta? Il nome della cantina, con il brand primo fattore di scelta di una bottiglia; a seguire leggono il nome del vino/vitigno e, quindi, la sua origine e provenienza, poi la denominazione, l’annata, l’immagine che è raffigurata nell’etichetta e, da ultime, le altre indicazioni previste dai disciplinari.
Quella che vorrebbero è una vera e propria “etichetta-racconto”, capace di soddisfare la curiosità di saperne di più in particolare sul blend, sul produttore e sul territorio di produzione, con una terminologia immediata e universale fatta di parole semplici, lasciando il doveroso spazio alle indicazioni di carattere “tecnico”. Affidarsi alla sola intuizione, al lampo creativo, al “genius loci”, senza produrre un adeguato sforzo di analisi e verifica di quanto esiste già o dei percorsi creativi già tracciati da altri, è estremamente pericoloso.